Aniccha
Impermanenza
Il
cambiamento è inerente a ogni fenomeno.
Non
vi è nulla nel campo animato o inanimato, organico o inorganico che
possiamo definire permanente, e anche se dessimo questa
denominazione a qualcosa, inevitabilmente essa sarebbe destinata a
cambiare, a sottoporsi a qualche metamorfosi.
Avendo compreso questo
fatto fondamentale attraverso l'esperienza diretta all'interno di se
stesso, il Buddha dichiarò:
Sia che nel mondo ci sia o no una
persona completamente illuminata, tuttavia rimane una condizione
ferma, un fatto immutabile e una legge fissata: tutte le formazioni
fisiche e mentali sono impermanenti, soggette alla sofferenza e
prive di sostanza.
Anicca (impermanenza), dukkha (sofferenza) e anatta
(inconsistenza dell'io) sono le tre caratteristiche comuni ad ogni
esistenza cosciente. Tra queste, la più importante nella pratica della
meditazione Vipassana è anicca. Come meditatori ci troviamo ad
affrontare l'impermanenza di noi stessi.
Ciò ci permette di
comprendere che non abbiamo alcun controllo su questo fenomeno, e che
ogni tentativo di manipolarlo non ci crea altro che sofferenza.
Impariamo quindi a sviluppare il distacco e l'accettazione di questo
fatto, l'apertura al cambiamento, permettendoci così di vivere
felicemente tra le vicissitudini della vita. Perciò il Buddha disse:
A colui che percepisce l'impermanenza
si manifesta chiaramente la percezione della inconsistenza e
mancanza di un io. E in chi percepisce questa inconsistenza,
l'egoismo viene distrutto. E, come risultato, ottiene la liberazione
persino in questa stessa vita. La comprensione di anicca conduce
automaticamente alla comprensione di anatta e dukkha, chiunque
realizzi questi fatti si trova naturalmente sul cammino che conduce
fuori dalla sofferenza.
Data
la cruciale importanza di anicca non sorprende che il Buddha ne
sottolineasse ripetutamente l'importante significato per coloro che
cercano la liberazione.
Nel Maha-Satjpatthana Suttanta, il
testo principale in cui viene spiegata la meditazione Vipassana, egli
descrisse i differenti stadi della pratica, che devono in ogni caso
condurre alla seguente esperienza:
Il
meditatore si sofferma ad osservare il fenomeno del sorgere... si
sofferma ad osservare il fenomeno del passare... si sofferma ad
osservare il fenomeno del sorgere e passare.
Dobbiamo saper riconoscere il fatto dell'impermanenza non solamente
nel suo aspetto facilmente riconoscibile, intorno e all'interno di noi
stessi. Oltre a ciò, dobbiamo imparare a vedere la realtà sottile che
noi stessi stiamo cambiando ogni momento, che l'io di cui siamo così
infatuati è un fenomeno in flusso costante, in continuo cambiamento.
Con questa esperienza possiamo facilmente emergere dall'egoismo e così
dalla sofferenza. In altre circostanze il Buddha disse:
L'occhio è impermanente. E ciò che è impermanente è
insoddisfacente. Ciò che è insoddisfacente è senza sostanza. E ciò che
è senza sostanza non è "mio", non è "io", non è "me stesso". Ecco come
osservare l'occhio con saggezza, come è realmente.
La
stessa cosa si ripete per l'orecchio, il naso, la lingua, il corpo,
per tutte le basi dell'esperienza sensoriale, per ogni aspetto
dell'essere umano. Il Buddha così continuò:
Vedendo ciò il meditante bene istruito ne ha
abbastanza dell'occhio, dell'orecchio, del naso, della lingua, del
corpo, e della mente. Essendo ormai sazio non prova più la passione
per essi. Essendo senza passione per questi sensi, si sente libero. In
questa libertà nasce la comprensione di essere liberato.
In
questo passaggio il Buddha fa una netta distinzione tra il conoscere
per sentito dire e la personale comprensione dovuta all'esperienza
diretta.
Si possono ascoltare numerosi discorsi e accettarli per fede
o anche intellettualmente. Comunque questa accettazione è
insufficiente per liberarci dal ciclo della sofferenza.
Per ottenere
la liberazione ognuno deve vedere e sperimentare la verità da solo,
all'interno di se stesso. Ecco ciò che Vipassana ci permette di fare.
Se
vogliamo capire l'eccezionale contributo del Buddha, dobbiamo
mantenere questa distinzione bene in mente. Le verità di cui egli
parlava erano conosciute anche prima di lui, ed erano comuni
nell'India dei suoi tempi.
Egli non inventò i concetti dell'impermanenza,
della sofferenza e dell'inconsistenza dell'io. La sua unicità e
peculiarità consiste nell'aver trovato una via per passare dai
discorsi sulla verità alla diretta esperienza della verità.
Un testo
in cui ritroviamo l'attenzione per questo particolare aspetto
dell'insegnamento del Buddha è il Bahiya Sutta, che si trova
nel gruppo di discorsi del Samyutta Nikaya. In esso viene
descritto l'incontro del Buddha con Bahiya, un ricercatore del cammino
spirituale. Nonostante non fosse un discepolo del Buddha, Bahiya gli
chiese di essergli da guida per la sua ricerca. Il Buddha rispose
ponendogli delle domande:
- Che
cosa ne pensi, Bahiya: è l'occhio permanente o impermanente? -
- Impermanente, signore. -
-
E ciò che è impermanente è causa di sofferenza o di felicità? -
-
Di sofferenza, signore. -
-
Ora, ti sembra giusto considerare ciò che è impermanente, causa di
sofferenza e per natura mutevole, come "mio", "io"," me stesso"?
-
-
Certamente no, signore. -
Il
Buddha continuò a fare le stesse domande a Bahiya sugli oggetti della
vista, la coscienza dell'occhio e il contatto dell'occhio. L'uomo era
sempre d'accordo: essi sono impermanenti, insoddisfacenti, senza un
"io".
Non si dichiarava un seguace dell'insegnamento del Buddha, e
tuttavia accettava la realtà di anicca, dukkha, e anatta.
Naturalmente la spiegazione è che per Bahiya e altri come lui, i
concetti dell'impermanenza, della sofferenza e della inconsistenza
dell'io erano semplicemente delle opinioni. A queste persone il Buddha
mostrò una via per andare al di là di credenze e filosofie, e fare
esperienza diretta della loro natura come impermanente, come
sofferente e senza un Io.
In che cosa consiste quindi questa via che
egli ha mostrato? Nel Brahamajala Suttanta, un altro discorso,
il Buddha offre una risposta. Fa un elenco di tutte le credenze, le
opinioni e i punti di vista del suo tempo, e quindi afferma di
conoscere qualcosa molto oltre tutti quei punti di vista:
Avendo fatto esperienza di come realmente sono il sorgere e il passare
delle sensazioni, l'attaccamento verso di esse, il pericolo insito in
esse e il distaccarsi da esse, l'Illuminato, o meditatori, è diventato
distaccato e liberato.
Qui
il Buddha molto semplicemente dichiara che è diventato illuminato
osservando le sensazioni fisiche come manifestazioni di impermanenza.
E invita chiunque voglia seguire l'insegnamento del Buddha a fare
altrettanto. L'impermanenza è il fatto centrale che dobbiamo
comprendere per uscire dalla nostra sofferenza; e la via immediata per
fare esperienza dell'impermanenza è osservare le nostre sensazioni
fisiche, corporee. Di nuovo il Buddha disse:
Ci
sono tre tipi di sensazioni, o meditatori, e tutte sono impermanenti,
composte, e sorgono per una causa, destinate a non durare, e per
natura a passare, scomparire, cessare.
Le
sensazioni all'interno di noi stessi sono la più palpabile espressione
della caratteristica di anicca, l'impermanenza. Osservandole,
diventiamo capaci di accettare questa realtà, non solamente per fede o
per convinzione intellettuale, ma per nostra esperienza diretta. In
questo modo progrediamo dall'ascoltare solamente la verità allo
sperimentarla all'interno di noi stessi. E la verità, quando la
incontriamo faccia a faccia, è destinata a trasformarci radicalmente.
Così il Buddha disse:
Quando un meditatore resta consapevole con corretta comprensione,
diligente, ardente, e con pieno autocontrollo, quando piacevoli
sensazioni fisiche sorgono nel suo corpo, egli allora comprende che è
sorta questa piacevole sensazione corporea, ma è dipendente da una
causa, non è indipendente. Dipendente da cosa? Da questo corpo. Ma
questo corpo è impermanente, composto, condizionato. Ora, come
potrebbero queste piacevoli sensazioni fisiche essere permanenti dal
momento che dipendono da questo corpo composto e impermanente, e che è
esso stesso condizionato?
Il
meditatore fa esperienza dell'impermanenza delle sensazioni nel corpo,
del loro sorgere, del loro passare, del loro cessare, e quindi del
diminuire dell'attaccamento a esse.
Mentre fa ciò, il suo sotterraneo
condizionamento di bramosia viene abbandonato.
Allo stesso modo,
quando prova sensazioni spiacevoli nel corpo, viene abbandonato il suo
sotterraneo condizionamento di avversione; e quando fa esperienza di
sensazioni neutre nel corpo, viene abbandonato il suo sotterraneo
condizionamento di ignoranza.
In questo modo, osservando l'impermanenza
delle sensazioni corporee, un meditatore si avvicina sempre più alla
meta dello stadio incondizionato del nibbana, al di là delle
esperienze sensoriali. Dopo aver raggiunto quella meta, Kondañña, la
prima persona che divenne liberata attraverso l'insegnamento del
Buddha, dichiarò:
Ogni
cosa che ha la natura del sorgere ha anche la natura del cessare.
Solamente facendo esperienza in modo totale della realtà di anicca
fu capace di fare esperienza di una realtà che non sorge e non passa.
La sua dichiarazione è un chiaro segnale sul cammino ai futuri
ricercatori della verità, indica la via che essi devono seguire per
raggiungere la meta. Al termine della sua vita il Buddha dichiarò:
Ogni
cosa esistente è impermanente.
Nei
suoi ultimi momenti volle riproporre il grande tema di cui aveva
parlato così spesso durante i suoi anni di insegnamento. E poi
aggiunse:
Sforzatevi diligentemente.
Ma
per quale scopo, ci dobbiamo chiedere, dobbiamo sforzarci? Sicuramente
queste parole, le ultime dette dal Buddha, non possono che riferirsi
alla frase precedente.
Il prezioso messaggio del Buddha al mondo è la
comprensione di anicca, la comprensione per esperienza diretta
dell'impermanenza di ogni fenomeno fisico e mentale, come strumento
per la liberazione.
Dobbiamo sforzarci di raggiungere l'impermanenza
all'interno di noi stessi; solo facendo ciò si potrà dire di aver
compreso la sua ultima esortazione e il suo insegnamento.