Majjhima Nikaya
Traduzione in italiano di De
Lorenzo, da Enrico Federici.
Esclusivamente per distribuzione gratuita.
Capitoli:
Mulapariyâya Sutta
La sequenza radice
Questo ho sentito. Una volta il Sublime soggiornava
presso Ukkatthâ, nel parco, al piede d'un albero magnifico. Là il Sublime
si rivolse ai bhikkhu:
"Monaci!" - "Illustre!" replicarono i monaci. Il
Sublime parlò così:
"Voglio mostrarvi, monaci, il principio di tutte le
cose: ascoltate e fate bene attenzione."
"Sì, Signore!" risposero attenti i monaci. Il Sublime
disse:
"Ecco, monaci, c'è uno che niente ha conosciuto, un
uomo comune, senza comprensione per ciò che è santo, estraneo alla santa
dottrina, inaccessibile ad essa; senza comprensione per ciò che è nobile,
estraneo alla dottrina dei nobili, inaccessibile ad essa. Egli prende la
terra come terra, pensa alla terra, pensa sulla terra, pensa 'Mia è la
terra' e si rallegra di ciò: e perché? Perché egli non la conosce, dico
io.
Lo stesso gli accade dell'acqua, del fuoco, dell'aria,
della natura, degli dei, del Signore della generazione, di Brahmâ, dei
Lucenti, dei Raggianti, dei Possenti, dell'Ultrapossente, dell'illimitata
sfera dello spazio, dell' illimitata sfera della coscienza, della sfera
della non esistenza, del limite di possibile percezione, del sentito come
sentito, del pensato come pensato, del conosciuto come conosciuto,
dell'unità come unità, dellamolteplicità come molteplicità, del tutto come
tutto, dell'estinzione come estinzione.
Ma chi, monaci, come asceta che lotta, che con coraggio
cerca di conseguire l'incomparabile sicurezza, anche a lui vale la terra
come terra, allora egli deve non pensare terra, non pensare alla terra,
non pensare sulla terra, non pensare 'Mia è la terra', non rallegrarsi
della terra: e perché? Perché impari a conoscerla, dico io. Acqua, fuoco,
aria, natura e dei, unicità e molteplicità, il tutto vale a lui come tutto
e allora egli deve non pensare il tutto, non pensare al tutto, non pensare
sul tutto, non pensare 'Mio è il tutto', non rallegrarsi del tutto: e
perché? Perché impari a conoscerlo, dico io. L'estinzione vale a lui come
estinzione, allora egli deve non pensare all'estinzione, non pensare
sull'estinzione, non pensare 'Mia è l' estinzione', non rallegrarsi
dell'estinzione: e perché? Perché impari a conoscerla, dico io.
Ma chi, monaci, come santo monaco, estinto, giunto alla
fine, avendo compiuta l'opera, essendosi scaricato del peso, avendo
raggiunto lo scopo, ha distrutto i vincoli dell'esistenza, s'è redento in
perfetta sapienza, anche a lui accade la stessa cosa nei confronti della
terra e di tutte le altre cose, e non pensa 'Mia è l'estinzione'. Perché?
Perché egli la conosce, dico, perché estinta la brama, è senza brama.
Perché estinta l'avversione, è senza avversione.
E non pensa nemmeno 'Mio è il tutto' perché egli,
estinto l'errore, è senza errore. Il Compiuto, monaci, il Santo, perfetto
Svegliato non pensa 'Mia è l'estinzione' perché il Compiuto la conosce,
dico io. E neppure pensa 'Mia è la terra' perché ha scoperto 'Il Diletto è
radice di dolore; il divenire genera, il divenuto invecchia e muore'.
Perciò dunque, monaci, il Compiuto ad ogni sete di vita morto, svezzato,
divelto, sfuggito, svincolato, è risvegliato nell'incomparabile perfetto
risveglio. Così parlò il Sublime. Contenti si rallegrarono i monaci della
parola del Sublime.
Sabbâsava Sutta
Gli asava [contaminazioni mentali]
Una volta soggiornava il Sublime nella Selva del
Vincitore, il parco di Anathapindiko, e parlo' ai monaci cosi':
Voglio mostrarvi come ci si difenda da ogni asava;
all'esperto io annunzio l'estinzione degli asava, non all'inesperto, non
all'ignaro. Per conoscere come estinguere gli asava occorre riconoscere
leggera attenzione e profonda attenzione. Leggera attenzione fa
germogliare nuovi asava e rinforza gli antichi; profonda attenzione, o
monaci, non fa sorgere nuovi asava e distrugge gli antichi.
Gli asava devono essere superati: sapendo;
difendendosi; curandosi; pazientando; fuggendo; combattendo; operando.
Quale asava sara' superato sapendo? Supponiamo che vi
sia un uomo comune, che non ha conosciuto niente, senza intendimento per
cio' che e' santo, estraneo ed inaccessibile alla dottrina, a cio' che e'
nobile, alla dottrina dei nobili, e che non riconosce cio' che merita
attenzione e non riconosce cio' che non merita attenzione. Senza
conoscenza delle cose degne e di quelle indegne, egli fa attenzione
all'indegno e non al degno.
Cos'e' l'indegno che egli reputa degno? Quello per la
cui stima germoglia nuova smania di desiderio, di esistenza, di errore, e
l'antica si rinforza.
E cos'e' il degno che egli non reputa degno? Quello per
la cui stima non puo' sorgere nuova smania di desiderio, di esistenza, di
errore e l'antica e' distrutta. Cosi', mentre reputa degne cose indegne e
indegne cose degne, nuovi asava sorgono in lui e gli antichi si
rinforzano.
E con leggera attenzione egli pensa cosi': sono mai
esistito nelle epoche passate? O non sono mai esistito? Che cosa sono
stato o non sono stato nelle epoche passate? E in che modo sono divenuto
quel che allora sono stato? Esistero' o non esistero' nelle epoche future?
E in che modo? Anche il presente lo riempie di dubbi: Esisto o non esisto?
Che cosa e come sono, io? Da dove sono venuto e dove andro'?
E con tali pensieri leggeri egli giunge ad una delle
sei opinioni, diviene in lui ferma persuasione: io ho un'anima; io non ho
un'anima; animato prevedo animazione; animato prevedo disanimazione;
senz'anima prevedo animazione; questo me stesso si trovera' qua e la', a
godere la mercede delle buone e delle cattive opere; e questo me stesso e'
permanente, persistente, eterno, immutabile, rimarra' quindi a se'
eternamente eguale.
Questo si chiama, o monaci, vico delle opinioni,
caverna delle opinioni, gola delle opinioni, spina delle opinioni, roveto
delle opinioni, rete delle opinioni. Impigliatosi nella rete delle
opinioni, o monaci, l'inesperto figlio della terra non si libera dal
nascere, dall'invecchiare e morire, da bisogno, miserie e pene, da strazio
e disperazione, non si libera, io dico, dal dolore.
Ma l'esperto, santo discepolo, che accede alla
dottrina, riconosce cio' che merita attenzione e riconosce cio' che non
merita attenzione, stima cio' che e' degno e non stima l'indegno, percio'
in lui non sorgono nuovi asava e gli antichi si estinguono.
Questo e' il dolore, pensa egli profondamente; questa
e' l'origine del dolore; questo e' l'annientamento del dolore; questa e'
la via che conduce all'annientamento del dolore. E con tale profondo
pensiero gli si sciolgono i tre irretimenti: la fede nella perduranza
personale, la dubbiosa incertezza e l'ascesi come scopo a se stessa.
Quale asava sara' superato difendendosi?
Ecco, o monaci, un monaco si munisce di riflessione
quale arma ed efficace difesa della vista, perche' se egli lasciasse
inerme la sua vista, allora scenderebbe su di lui turbante, dannosa
smania; ma la vista munita di difesa tiene lontana da lui la turbante,
dannosa smania. Alla stessa stregua, egli si munisce di riflessione quale
arma di difesa dell'udito, dell'olfatto, del gusto, del tatto, del
pensiero.
Quale asava sara' superato curandosi?
Ecco, o monaci, un monaco ha cura dell'abito a ragion
veduta, solo per ripararsi dal freddo, dal caldo, dal vento e dalla
tempesta, da zanzare e vespe e fastidiosi animali striscianti, solo per
coprire le sue pudende. A ragion veduta egli ha cura del cibo elemosinato,
non per godimento o diletto, non per essere florido e bello, ma solo per
conservare e sostentare questo corpo, per scansare danni, per poter menare
santa vita: "
Cosi' io estinguero' la sensazione di prima e non ne
faro' sorgere una nuova, e ne avro' abbastanza per immacolato benessere".
A ragion veduta egli ha cura del giaciglio, solo per
ripararsi dal freddo, dal caldo, dal vento e dalla tempesta, da zanzare e
vespe e fastidiosi animali striscianti, solo per evitare pericoli, per
poter godere di tranquillita'.
A ragion veduta egli ha cura delle medicine nel caso di
una malattia, solo per sedare vive, dolorose sensazioni, per raggiungere
il vero scopo: indipendenza. Se egli fosse trascurato potrebbe essere
colpito da turbante, dannosa smania.
Ma quale asava, o monaci, e' quello che deve essere
superato pazientando?
Ecco, o monaci, un monaco sopporta a ragion veduta
freddo e caldo, fame e sete, vento e tempesta, zanzare e vespe e
fastidiosi animali striscianti; ed ai maligni, malevoli discorsi, alle
corporali sensazioni di dolore che lo colpiscono, violenti, taglienti,
pungenti, sgradevoli, moleste, pericolose di vita, egli pazientando non si
cura. Perche' se egli divenisse impaziente, o monaci, allora scenderebbe
su di lui turbante, dannosa smania: percio' egli rimane paziente e sfugge
alla turbante, smaniosa smania.
Ma quale asava, o monaci, e' quello che deve essere
superato fuggendo?
Ecco, o monaci, un monaco fugge a ragion veduta un
elefante infuriato, un cavallo infuriato, un cane infuriato, egli fugge i
serpenti, evita il suolo disboscato, gli spinosi sterpeti, le pozze e i
fossi, i pantani e le paludi. Luoghi che non sono adatti alla dimora,
posti che non sono adatti al cammino, amici che non sono adatti al
consorzio e che ad esperti fratelli dell'Ordine non sarebbero graditi:
tali luoghi, tali posti, tali amici egli fugge a ragion veduta, e cosi'
sfugge alla turbante, dannosa smania.
Ma quale asava, o monaci, e' quello che deve essere
superato combattendo?
Ecco, o monaci, un monaco a ragion veduta non da' campo
a pensieri di brama, di avversione, di furore che siano sorti in lui, li
rinnega, li scaccia, li estirpa, li soffoca in germe. Ma se egli cedesse,
allora scenderebbe su di lui turbante, dannosa smania: percio' egli li
combatte e ne rimane libero.
Ma qual'e', o monaci, l'asava che deve essere superato
operando?
Ecco, o monaci, un monaco opera a ragion veduta il
risveglio del sapere, del raccoglimento, della forza, della serenita',
della calma, dell'approfondimento, dell'equanimita'. Senza operare
soggiacerebbe a turbante, dannosa smania, ma se opera nessuna turbante,
dannosa smania lo raggiunge.
Se ora, o monaci, un monaco ha superato gli asava
sapendo, difendendosi, curandosi, pazientando, fuggendo, combattendo,
operando, allora lo si chiama monaco che ha reciso la sete di vivere, ha
infranto i vincoli, e con la completa conquista degli asava ha messo fine
al dolore.
* Asava = contaminazioni mentali. Per la precisione:
kama = sensualita'
bhava = rinascita
dhitta = speculazioni
avijja = ignoranza
Chi estingue gli asava e' un Arahat
Dhamma dâyada Sutta
Eredi della dottrina
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nella
Selva del Vincitore, nel parco di Anâthapindiko. Là il Sublime si rivolse
ai monaci così:
"Monaci, siate eredi della dottrina, non eredi del
bisogno. Ve lo dico per compassione e per evitare critiche da parte della
gente. Se io a mezzogiorno ho finito un pasto sufficiente, adeguato, e
sono abbastanza sazio, ma mi avanza ancora un po' del cibo elemosinato che
dovrebbe essere gettato, e mi si presentano due monaci stanchi e affamati,
io li inviterò."
Uno dei due monaci potrebbe pensare:
"Se non accetto, il Sublime dovrà gettare l'avanzo,
secondo consuetudine, in un luogo dove non ci sia erba o in acqua
corrente".
Egli ricorda l'insegnamento del Sublime che esorta a
essere eredi della dottrina e non del bisogno, quindi si propone di
rinunciarvi e, pur affamato e stanco com'è, di resistere sino al
mezzogiorno dell'indomani.
L'altro monaco, pur consapevole di tutto ciò, accetta
l'avanzo per vincere la fame e la stanchezza. Legittimamente il secondo
monaco ha accettato l'avanzo, ma il primo è più degno e meritevole perché
il suo comportamento lo farà avanzare sempre più nella moderazione, nella
contentezza, nella semplicità e nella perseveranza.
Così parlò il Sublime, e, alzatosi, rientrò nell'eremo.
Subito dopo prese la parola l'onorevole Sâriputto:
"Fratelli monaci, ora che il Maestro si è ritirato, in
che modo i discepoli trascurano la solitudine, in che modo la curano?"
E i monaci:
"Verremmo anche da lontano per ascoltare la tua parola,
fratello; parla, terremo a mente le tue parole".
Allora Sâriputto:
"Così voi, discepoli del Maestro che vive solitario,
trascurate la solitudine: non disprezzate ciò che Egli ha indicato come
spregevole; diventate pieni di pretese e importuni, cercate la compagnia e
fuggite dalla solitudine come un grave peso. In tal modo i fratelli più
anziani si vergognano per tre cose: primo, che non amate la solitudine;
secondo, che non disprezzate ciò che il Maestro ha indicato come
spregevole; terzo, che cercate compagnia evitando la solitudine. Ciò fa
vergognare i fratelli più anziani, ma anche quelli medi e quelli nuovi. E
in che modo voi curate la solitudine: disprezzando ciò che dev'essere
disprezzato; non diventando pretenziosi e molesti; evitando la compagnia
come grave peso e ricercando la solitudine.
Queste sono le cose che fanno onore ai monaci più
anziani come a quelli medi, come a quelli nuovi. Ora, fratelli, osservate:
la brama fa male e l'avversione fa male. C'è una via di mezzo per sfuggire
ad esse: una via che rende veggenti e sapienti, che produce sollievo,
chiara visione che conduce al risveglio, all' estinzione. E' questo santo
sentiero ottopartito, cioè: retti cognizione, intenzione, parola, azione,
vita, sforzo, sapere, raccoglimento. E ira e discordia fanno male,
fratelli, e così pure fanno male ipocrisia e invidia, gelosia ed egoismo,
inganno e astuzia, ostinazione e violenza, superbia e vanità, accidia e
negligenza."
Così parlò l'onorevole Sâriputto. Contenti si
rallegrarono quei monaci della sua parola.
Bhayabherava Sutta
Spavento e terrore
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Savatthi, nella
selva del Vincitore, nel parco di Anathapindiko. Ecco ora venne Janussoni,
un brahmano che saluto' il Sublime con reverenza e, scambiate amichevoli,
notevoli parole, gli si sedette accanto e cosi' gli si rivolse:
- "Questi nobili giovani, o Gotamo, i quali, fidando
nel signore Gotamo, hanno lasciato la casa per l'eremo, essi onorano,
hanno eletto a loro duce e hanno fatta propria la concezione di vita e la
regola di vita del signore Gotamo."
- " Cosi' e', o brahmano, questi nobili giovani hanno
fatto ciò."
- " Duramente si vive pero', o Gotamo, nella profonda
foresta, in luoghi remoti; e' difficile amare la solitudine e goderne il
ritiro; i recessi della foresta ad un monaco che non puo' dominarsi, certo
fanno agghiacciare il cuore nel petto."
- "Cosi' e' o brahmano. E' accaduto anche a me, prima
del pieno risveglio, quand'ero ancora imperfetto e cercavo, appunto, di
raggiungere il risveglio. Allora io mi dissi: tutti quei cari asceti o
brahamani che, non retti in azioni, cercano luoghi remoti nel profondo
della foresta, quelli, appunto perche' il loro agire non e' retto,
debitamente provano spavento e terrore; ma io, che essendo retto in
azioni, cerco luoghi remoti nel profondo della foresta, io seguo retto
agire: se quindi vi sono uomini probi che, essendo retti in azioni,
cercano luoghi remoti nel profondo della foresta, io sono uno di essi.
Quando io, o brahamano, asservai che possedevo questa rettitudine
dell'agire, crebbe il mio compiacimento nella vita della foresta.
Quelli non retti in parole, provano spavento e terrore;
ma io dico rette parole e quando osservai che possedevo questa rettitudine
della parola, crebbe il mio compiacimento nella vita della foresta.
Quelli non retti in pensieri, provano spavento e
terrore; ma io seguo retti pensieri e percio' crebbe il mio compiacimento
nella vita della foresta.
Quelli che non hanno retto animo, provano spavento e
terrore; ma io seguo la rettitudine d'animo, percio' crebbe il mio
compiacimento nella vita della foresta.
Quelli che sono bramosi e pieni di veementi desideri,
provano spavento e terrore; ma io abbandonai le brame, percio' crebbe il
mio compiacimento nella vita della foresta.
Quelli che sono acri ed irosi, provano spavento e
terrore; ma io sento compassione ed abbandonai l'ira, percio' crebbe il
mio compiacimento nella vita della foresta.
Quelli che sono accidiosi e pigri, provano spavento e
terrore; ma io sono libero da accidiosa pigrizia, percio' crebbe il mio
compiacimento nella vita della foresta.
Quelli che sono agitati e con spirito irrequieto,
provano spavento e terrore; ma io, senza agitazione, sono tranquillo,
percio' crebbe il mio compiacimento nella vita della foresta.
Quelli che sono incerti e dubbiosi, provano spavento e
terrore; ma io sono sicuro e senza dubbi, percio' crebbe il mio
compiacimento nella vita della foresta.
Quelli che lodano se stessi e biasimano il prossimo,
provano spavento e terrore; ma io, senza impettirmi, non disprezzo gli
altri, e quando osservai che il lodare me stesso e biasimare gli altri mi
era estraneo, crebbe il mio compiacimento nella vita della foresta.
Quelli che tremano e sono timorosi, provano spavento e
terrore; ma io sono libero da tremito e timore, percio' crebbe il mio
compiacimento nella vita della foresta.
Quelli che sono avidi di ricompense, onori e riguardi,
provano spavento e terrore; ma io spregiando ricompense, onori e riguardi,
mi modero; quando osservai che possedevo questa moderazione, crebbe il mio
compiacimento nella vita della foresta.
Quelli che sono affranti e frustrati, provano spavento
e terrore; ma io, ne' affranto, ne' frustrato, cerco luoghi remoti nel
profondo della foresta.
Quelli che hanno la mente confusa e torbida, provano
spavento e terrore; ma io, che senza confusione ne' turbamento cerco
luoghi remoti nel profondo della foresta, io sono di chiara mente.
Quelli che con inquieti e distratti sensi cercano
luoghi remoti nel profondo della foresta, provano spavento e terrore; ma
io, che non inquieto ne' distratto cerco luoghi remoti nel profondo della
foresta, io sono padrone di me.
Quelli che stupidi e stolti, cercano luoghi remoti nel
profondo della foresta, provano spavento e terrore; ma io, che non essendo
ne' stupido ne' stolto, cerco luoghi remoti nella foresta, io sono savio.
Allora io mi dissi, o brahmano: dunque se in certe
notti paurose, al plenilunio e al novilunio, al quarto crescente ed al
calante, io cercassi sepolcri nei boschi, nelle selve, sotto gli alberi, e
dimorassi in sedi di raccapriccio e di orrore, per poter pur'io provare
che sia quello spavento e terrore? E infatti nel corso del tempo, io
dimorai in sedi di raccapriccio e di orrore. E mentre io stavo la', ecco
che un capriolo si avvicinava, o un gallo di bosco spezzava un ramo, o il
vento scuoteva il fogliame; ed io pensavo: ora apparira' certamente quello
spavento e terrore. Ed allora io mi dissi, o brahamano: ma perche'
aspettero' inerte l'apparire della paura? Non sarebbe meglio che, appena
quello spavento e terrore dovesse comunque mostrarsi, io immediatamente
l'affrontassi? E quello spavento e terrore scese su di me mentre io
camminavo su e giu'. Ma io ne' mi fermai, ne' mi sedei, ne' mi distesi,
finche', su e giu' camminando, stando dritto e fermo, stando seduto,
mentre giacevo, non ebbi affrontato e disperso quello spavento e terrore.
Pure vi sono anche, o brahmano, parecchi asceti e
brahmani che fanno della notte giorno e del giorno notte. Cio' io chiamo
una vanita' di quegli asceti e brahmani. Io pero' tengo la notte per notte
e il giorno per giorno.
Chi ora , o brahmano, puo' dire con diritto di un uomo:
un essere senza vanita' e' apparso nel mondo, per il bene di molti, per la
salute di molti, per compassione del mondo, per utile, bene e salute degli
dèi e degli uomini; costui appunto puo' dire questo di me.
Costante pero' io perseverai, senza vacillare, con
mente chiara, senza confusione, con sensi tranquilli, senza agitazione,
con animo raccolto, unificato. Lungi da brame, lungi da cose non salutari,
io restavo in sensiente, pensante, nata di pace, beata serenita': cosi'
raggiunsi la prima contemplazione.
Dopo compimento del sentire e pensare, io raggiunsi
l'interna calma, l'unita' dell'animo, la libera di sentire e pensare,
beata serenita', la seconda contemplazione.
In serena pace io restavo equanime, savio, chiaro e
cosciente, provavo in me la felicita' di cui i probi dicono: l'equanime
savio vive felice; cosi' raggiunsi la terza contemplazione.
Dopo rigetto di gioie e dolori, dopo annientamento
della letizia e della tristezza anteriore, io raggiunsi la non triste, non
lieta, equanime, savia, perfetta purezza, la quarta contemplazione.
Con tale animo saldo, purificato, terso, sincero,
schiarito di scorie, malleabile, duttile, compatto, incorruttibile, io
drizzai l'animo alla memore cognizione di anteriori forme di esistenza. E
mi ricordai di molte diverse anteriori forme di esistenza come di una
vita, di due vite, di tre, quattro, cinque, dieci vite, venti, trenta,
quaranta, cinquanta vite, cento vite, mille, centomila vite, poi delle
epoche durante parecchie formazioni e trasformazioni di mondi. La' ero io,
avevo quel nome, appartenevo a quella famiglia, quello era il mio stato,
quello il mio ufficio, provai tal bene e male, e cosi' fu la fine di mia
vita; di la' trapassato entrai io altrove di nuovo in esistenza e cosi'
via. Cosi' io mi ricordai di molte diverse anteriori forme di esistenza,
ognuna con i propri contrassegni, ognuna con le sue speciali relazioni.
Questa scienza, o brahmano, io avevo nelle prime ore della notte
conquistato per prima, avevo dissipato l'ignoranza, conseguito la
saggezza, dissipata l'oscurita', conseguita la luce, mentre con serio
intendimento, solerte, infaticabile dimoravo.
Con tale animo saldo, purificato, terso, sincero,
schiarito di scorie, malleabile, duttile, compatto, incorruttibile,
drizzai l'animo alla cognizione dello sparire ed apparire degli esseri.
Con l'occhio celeste, rischiarato, sopraterreno, io vidi gli esseri
scomparire e riapparire, volgari e nobili, belli e non belli, felici ed
infelici, io riconobbi come gli esseri sempre secondo le azioni
riappaiono. Questi cari esseri sono certo non retti in azioni, non retti
in parole, non retti in pensieri, biasimano cio' che e' salutare, stimano
cio' che e' dannoso, fanno cio' che e' dannoso; con la dissoluzione del
corpo, dopo la morte, essi pervengono giu', su cattivi sentieri, alla
perdizione, in mondo infernale. Quei cari esseri, pero' sono retti in
azioni, parole, pensieri, non biasimano cio' che e' salutare, stimano cio'
che e' retto, fanno cio' che e' retto; dopo la dissoluzione del corpo,
dopo la morte, essi pervengono su buoni sentieri, in mondo celeste. Cosi'
io riconobbi come gli esseri riappaiono sempre secondo le azioni. Questa
scienza, o brahmano, io avevo nelle ore medie della notte conquistato per
seconda, avevo dissipato l'ignoranza, conseguito la saggezza, dissipata l'oscurita',
conseguita la luce, mentre con serio intendimento, solerte, infaticabile
dimoravo.
In seguito drizzai l'animo alla cognizione
dell'estinguersi degli asava.
Questo e' il dolore; questo e' l'origine del dolore;
questo e' l'annientamento del dolore; questa e' la via che conduce
all'annientamento del dolore, compresi conforme a verita'.
Questo e' contaminazione mentale; questo e' l'origine
delle contaminazioni mentali; questo e' l'annientamento delle
contaminazioni mentali; questa e' la via che conduce all'annientamento
delle contaminazioni mentali.
Cosi' riconoscendo, cosi' vedendo, il mio animo fu
redento dalla smania del desiderio, dell'esistenza, dell'errore. Nel
redento e' la redenzione: questa cognizione sorse. Esausta e' la vita,
compiuta la santita', operata l'opera, non esiste piu' questo mondo,
compresi allora. Questa scienza, o brahmano io avevo nella ultime ore
della notte conquistata per terza, avevo dissipato l'ignoranza, conseguita
la saggezza, dissipata l'oscurita', conseguita la luce, mentre con serio
intendimento, solerte, infaticabile, dimoravo.
Ma tu forse, brahmano, potresti ora pensare: anche
adesso, pero', l'asceta Gotamo non e' del tutto privo di brama, avversione
e vanita'; percio' egli cerca luoghi remoti nel profondo della foresta.
Eppure, brahmano, tu non devi intenderla cosi'. Due sono le ragioni che mi
fanno cercare luoghi remoti nel profondo della foresta: il mio proprio
benessere durante la vita e la compassione per quelli che mi seguono."
"E compassione ha veramente donato il signore Gotamo,
come si conviene al Santo, Perfetto Svegliato. Benissimo, o Gotamo,
benissimo: Cosi' come se uno drizzasse cio' che e' rovesciato, o scoprisse
cio' che e' scoperto, o mostrasse la via a chi l'ha persa, o recasse lume
nella notte; chi ha occhi vedra' le cose: cosi' il signore Gotamo in vari
modi ha esposto la dottrina. E cosi' io prendo rifugio presso il signore
Gotamo, presso la dottrina e presso i discepoli; quale seguace voglia il
signore Gotamo considerarmi, da oggi per tutta la vita fedele."
Anangana Sutta
Innocenza
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava
presso Sâvatthî, nella Selva del Vincitore, nel parco di Anâthapindiko. Là
l'onorevole Sâriputto così si rivolse ai monaci: "Fratelli, nel mondo si
trovano quattro specie di uomini: chi è colpevole e non riconosce di
esserlo; chi è colpevole e riconosce d'esserlo; chi è innocente e non
riconosce d'esserlo; e che è innocente e riconosce, conforme a verità, di
non avere colpa.
Però il colpevole che non riconosce di essere tale è il
peggiore, e l'altro che riconosce d'essere colpevole è il migliore dei due
colpevoli.Ugualmente l'innocente che non ammette di esserlo è il peggiore,
e l' innocente che riconosce, secondo verità, di non aver colpa è il
migliore dei due innocenti".
A queste parole l'onorevole Mahâmoggallâno chiese: "Ma
qual è, fratello Sâriputto, la ragione, la causa, che indica chi è il
peggiore e chi il migliore tra i due colpevoli e tra i due innocenti?"
"Se, fratello, un colpevole non riconosce d'esserlo
allora c'è da aspettarsi che egli non eserciti la volontà, non lotti, non
si sforzi di rimediare alla sua colpa, e invece, carico di brama, di
avversione, di errore, di colpa, muoia con cuore non terso. Così come se
vi fosse un piatto di bronzo acquistato al mercato o dall'artigiano, pieno
di sporcizia e di macchie, e i proprietari non lo usassero né lo
pulissero, ma lo gettassero in un angolo: allora, fratello, questo piatto
di bronzo diverrebbe di certo più sporco e macchiato di prima.
Se invece un colpevole riconosce di esserlo, ci si può
aspettare che eserciti la sua volontà, lotti, trovi la forza di rimediare
alla sua colpa, e che, senza brama, senza avversione, senza errore e senza
più colpa, muoia col cuore terso. Così come se un piatto di bronzo
acquistato al mercato, fosse pieno di sporcizia e di macchie, ma i
proprietari lo pulissero e lo usassero invece di gettarlo in un angolo:
allora, fratello, il piatto diverrebbe di certo lucente e terso".
"Certamente, fratello!"
"Se, fratello, un innocente non si riconoscesse tale,
ci si può aspettare che egli si lasci attrarre dallo splendore delle cose,
e, attratto da esse, faccia travolgere il suo cuore dalla brama; e poi,
carico di brama, di avversione, di errore, di colpa, muoia col cuore non
terso. Così come, fratello, se vi fosse un piatto di bronzo, acquistato
lucente e terso, ma i proprietari, invece di usarlo o pulirlo lo
sbattessero in un angolo: allora, fratello, il piatto dopo qualche tempo
diverrebbe di certo sporco e macchiato. Mentre se egli riconoscesse la
propria innocenza, ci si potrebbe aspettare che non si farebbe attrarre
dallo splendore delle cose, non farebbe travolgere il suo cuore dalla
brama, e poi, senza brama, senza avversione, senza errore, senza colpa,
muoia col cuore terso. Così come se un piatto di bronzo acquistato, fosse
lucente e terso, e i proprietari lo pulissero e lo usassero, senza
gettarlo in un angolo: allora, fratello, il piatto diverrebbe anche più
lucente e più terso di prima.
Questa dunque, fratello Moggallâno, è la ragione,
questa è la causa per cui uno dei due ugualmente colpevoli lo si indica
come il peggiore e l'altro come il migliore; lo stesso dicasi dei due
ugualmente innocenti.
"La colpa, la colpa", così si esclama, fratello; ma
cosa s'intende propriamente sotto tale concetto?"
"I perniciosi, dannosi moti dell'animo, fratello,
quelli s'intendono sotto il concetto di colpa.
E' possibile che a un monaco venga in mente: "Se ho
sbagliato, gli altri non hanno bisogno di saperlo." Ma se lo vengono a
sapere egli s'amareggia e s' adira. Questa amarezza e quest'ira sono
entrambe colpe. E' possibile che gli venga in mente: "Se ho sbagliato, i
fratelli mi devono richiamare in segreto, non davanti agli altri monaci."
Se invece essi lo richiamano pubblicamente, non in segreto, allora egli si
amareggia e s'adira. Oppure potrebbe venirgli in mente: "Se ho sbagliato,
può ammonirmi un amico, non un altro monaco". Potrebbero anche venirgli in
mente tutte quest'altre cose:
"Ah, se il Maestro potesse esporre la dottrina ai
monaci mentre dialoga con me, non con un altro monaco." - "I monaci
nell'andare verso il villaggio per l'elemosina dovrebbero mettere alla
testa me, non un altro!" - "Oh, se al pasto toccasse a me la migliore
sedia, la migliore acqua, il migliore boccone!" Oppure: "Oh, se io solo
potessi saziarmi al pasto!" E ancora:
"Se i monaci vanno in giardino dovrei essere io e non
altri a esporre la dottrina." - "Se le bhikkhuni, se le monache vanno in
giardino dovrei essere io a spiegare la dottrina." - "Se i seguaci d'ambo
i sessi vengono in giardino dovrei essere io a esporre la dottrina." - "I
monaci dovrebbero valutare, pregiare, stimare me solo, non altri." - "Le
monache dovrebbero valutare, pregiare, stimare me solo, non altri." - "I
seguaci dovrebbero valutare, pregiare, stimare me solo, non altri."
"A me si dovrebbe far ottenere una veste scelta, non ad
altri." - "A me si dovrebbero dare bocconi scelti, giaciglio scelto,
medicine scelte in caso di malattia, e non ad altri."
Se tutti questi pensieri e desideri non si
realizzassero e accadesse il contrario, egli si amareggerebbe e si
adirerebbe. Questi due moti dell' animo sono colpe.
Un monaco, fratello, presso cui questi perniciosi,
dannosi moti dell'animo si mostrano, si manifestano non attenuati, anche
se egli fosse un solitario eremita della foresta, un muto mendicante di
briciole, se fosse coperto da una veste di stracci da lui rappezzati, non
sarebbe dai suoi fratelli dell' ordine ben considerato, pregiato, stimato,
onorato. Così come se vi fosse un piatto di bronzo, lucente e terso, e i
proprietari lo riempissero di pezzi di carogna di serpe o di cane o di
uomo, lo coprissero con un altro piatto e lo portassero al mercato. E se
uno chiedesse cosa esso nasconde, sollevasse il coperchio e guardasse il
contenuto provando ripugnanza, nausea e ribrezzo, e persino agli affamati
passasse la voglia di mangiare; lo stesso accadrebbe ai suoi fratelli
dell'ordine.
Un monaco, fratello, presso cui quei perniciosi,
dannosi moti dell'animo non si mostrano più, non si manifestano più, anche
se fosse un girovago di campagna, che mangia invitato, che è coperto da
veste donata, verrebbe dai suoi fratelli dell'ordine altamente valutato,
pregiato, stimato e onorato perché in lui quei perniciosi, dannosi moti
dell'animo non si mostrano più, non si manifestano più. Come se un piatto
di bronzo, lucente e terso fosse riempito dai proprietari con una succosa,
ben condita pietanza di riso brillato, bollito, e, copertolo con un altro
piatto, lo portassero al mercato. E uno chiedesse cosa nasconde,
sollevasse il coperchio e guardasse il contenuto, proverebbe piacere, non
nausea, non disgusto, e persino ai sazi verrebbe voglia di mangiare, non
dico agli affamati!"
A queste parole si volse l'onorevole Mahâmoggallâno
all'onorevole Sâriputto e disse: "Mi viene un paragone." "Dimmelo,
fratello Moggallâno." "Una volta, fratello, io soggiornavo sulla Costa del
monte presso Râjagaham. Mi alzai di prima mattina, presi mantello e
scodella, e andai alla città per l' elemosina. Proprio a quell'ora Samiti,
il figlio del fabbricante di carri era occupato a piallare una ruota, e
Panduputto, un penitente nudo, un sâdhu, che prima era stato fabbricante
di carri, gli era vicino. Allora a Panduputto, pratico di quell'attività
venne questo pensiero: "Oh, se Samiti piallasse questa scheggia, questa
vena, questo nodo; allora la ruota, liberata da tutto ciò, risulterebbe di
legno purissimo." E mentre a Panduputto sorgeva un pensiero dopo l'altro,
Samiti, come se lo sentisse, piallava scheggia dopo scheggia, vena dopo
vena, nodo dopo nodo. Allora il nudo penitente, antico fabbricante di
carri, allegramente commosso esclamò:
"Egli pialla come mosso dal cuore!" Ora, fratello, vi
sono anche qui persone che malvolentieri, per bisogno e non per fiducia si
sono allontanate da casa per ritirarsi nell'eremo, ipocriti, bigotti,
santocchi, goffi millantatori, affaccendati ciarloni, cattivi custodi
delle porte dei sensi, senza moderazione al pasto, alieni dalla vigilanza,
indifferenti all' ascetismo, negligenti nei doveri dell'ordine,
pretenziosi, importuni, che cercano anzitutto compagnia, che schivano la
solitudine come grave peso, cuori languidi, deboli, teste confuse, privi
di chiarezza, spiriti incostanti, distratti, uomini limitati e ottusi: a
questi l'onorevole Sâriputto con la sua esposizione ha piallato come mosso
dal cuore. E vi sono anche nobili giovani che mossi da fiducia si sono
allontanati da casa per ritirarsi nell'eremo; giovani che sono l'esatto
contrario di ciò che ho detto dei primi, e a questi l'esposizione
dell'onorevole Sâriputto fu quasi cibo e bevanda per il cuore e per
l'orecchio. In modo eccellente, invero, tu hai distolto i fratelli
dell'ordine da ciò che è dannoso e li hai rinforzati in ciò che è
salutare.
Così, in verità, si confortavano reciprocamente quei
due grandi con piacevole dialogo.
Vatthupama Sutta
Il paragone della veste
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava
presso Sâvatthî, nella Selva del Vincitore, nel parco di Anâthapindiko. Là
il Sublime si rivolse ai monaci: "Monaci, se un tintore prendesse una
veste sudicia e piena di macchie, e la immergesse in una tintura, non
importa quale, azzurra, gialla, rossa o violetta, essa potrebbe prendere
solo una tinta brutta e impura perché la veste non è pulita. Allo stesso
modo da un cuore immondo c'è da aspettarsi una cattiva riuscita.
Se invece il tintore prendesse una veste netta e pura,
essa potrebbe prendere solo una tinta buona e pura. Allo stesso modo da un
cuore non immondo c'è da aspettarsi una buona riuscita.
Ora, monaci, cos'è il turbamento del cuore? Esso è
dannoso egoismo, malvagità, abiezione, ipocrisia, invidia, gelosia,
interesse, frode, malizia, ostinazione, violenza, presunzione, superbia,
negligenza e leggerezza.
Ora, un monaco che abbia riconosciuto tutte queste
cose, le rinnega, e se ciò accade allora è provato e proclamato il suo
amore per lo Svegliato in questo modo: "Questo è il Sublime, il Santo, il
perfetto Svegliato, l'Esperto di sapienza e di vita, il Benvenuto, il
Conoscitore del mondo, l'incomparabile Guida dell'umano gregge, il Maestro
degli dei e degli uomini"; è provato il suo amore alla dottrina: "Bene
annunziata è dal Sublime la dottrina evidente, senza tempo, incitante,
invitante, ad ogni intelligente intelleggibile"; è provato il suo amore ai
discepoli: "L'ordine, il Sangha, è, presso il Sublime, bene, degnamente,
rettamente, convenientemente affidato, quattro paia di uomini, otto specie
di uomini [?]: questo è l'ordine del Sublime, che merita devozione e doni,
elemosina e saluto, che è la più santa sede del mondo". Il detto monaco ha
però abbandonato, smesso, disciolto, rinnegato e rigettato il riguardo:
conosce il distacco da tutto [?].
"Il mio amore per lo Svegliato, per la dottrina e per i
discepoli è provato": così egli acquista la comprensione del senso, la
comprensione della dottrina, l'intelligente deliziarsi della dottrina.
Tale delizia lo rende beato. Il corpo del beato si calma. Il calmo prova
fisica serenità. Il cuore del sereno prova raccoglimento.
Ora un monaco che possiede tale virtù, tale dottrina,
tale sapienza, può anche godere cibo mendicato che sia fatto di riso
scelto, ben saporito e condito, e ciò non lo danneggia. Così come una
veste sudicia e piena di macchie, lavata in acqua chiara diviene nitida e
tersa, oppure l'oro fuso nel crogiolo diventa schietto e puro; così pure
un monaco che possiede tale virtù, tale dottrina, tale sapienza, può anche
godere cibo mendicato.
Rimanendo con animo amorevole egli irradia in tutte le
direzioni, nord, sud, est, ovest, zenit e nadir, dappertutto
riconoscendosi, il mondo intero amorevolmente, con ampio, profondo,
illimitato animo, schiarito da rabbia e rancore.
Lo stesso egli fa con animo compassionevole, con animo
lieto, con animo immoto.
"Così è", egli comprende; "Vi è ciò che è volgare e vi
è ciò che è nobile, e vi è una libertà più alta di questa percepita dai
sensi". E in tale contemplazione, in tale visione il suo cuore viene
redento dalla mania del desiderio, dalla mania dell'esistenza, dalla mania
dell'errore. Sorge in lui questa conoscenza: "Nel redento è la
redenzione". Comprende allora: "Esaurita è la vita, compiuta la santità,
operata l'opera, non esiste più questo mondo". Questo si chiama, monaci,
un monaco purificato nell'intimo."
In quel frattempo si era avvicinato al Sublime il
brâhmano Sundariko Bhâradvâjo che si rivolse a lui chiedendo: "Va forse il
signore Gotamo a bagnarsi nella Bâhukâ?"
"Che c'è, brâhmano, che c'entra la Bâhukâ?"
"Si crede, Gotamo, che essa purifichi, che essa
santifichi, che nelle sue onde si lavino le proprie colpe."
Allora il Sublime si volse verso il brâhmano Sundariko
Bhâradvâjo e recitò questi versi:
"La Bâhukâ, l'Adhikâ, la Gayâ,
Anche la Sundarî e Sarassatî,
E la corrente del Payâgo fluido,
E di Bâhumatî veloce il fiume,
Non lavano giammai lo scellerato,
Se anch'uno si lavasse in ogni tempo.
Che gioverebbe mai la Sundarî,
O l'onda del Payâgo o la Gayâ?
Già l'acqua mai deterge dai suoi falli
Chi passo passo va per falsa strada.
Al giusto sempre ride lieto maggio,
Al giusto sempiterno è dì di festa,
Al giusto, a lui, che valoroso vive,
Adempito vien sempre il suo desir.
Bàgnati dunque, o brâhmano, sol qui:
Per tutto ciò che vive abbi pietà.
E se rinunzia hai fatto alla menzogna,
Se non offendi più vivente alcuno,
E più non prendi ciò che non è dato,
Nella rinunzia ognora sei costante,
A che verrai più mai alla Gayâ?
Fiumana la Gayâ, non altro è a te."
Dopo queste parole il brâhmano Sundariko Bhâradvâjo
disse al Sublime:
"Benissimo, Gotamo, benissimo! Così come quasi, Gotamo,
se uno raddrizzasse ciò che è rovesciato, o scoprisse ciò che è coperto, o
mostrasse la via a chi s'è perso, o portasse lume nella notte: "Chi ha
occhi vedrà le cose": così anche appunto il signore Gotamo in vari modi ha
esposto la dottrina. Anche io prendo rifugio presso il signore Gotamo,
presso la Dottrina e presso l'Ordine. Voglia il signore Gotamo concedermi
accoglienza, conferirmi l'ordinazione."
E il brâhmano Sundariko Bhâradvâjo venne accolto dal
Sublime, venne investito dell'ordinazione. Ma non molto dopo che era stato
accolto nell'ordine, egli, solitario, appartato, infaticabile, con
fervido, intimo sforzo aveva rapidamente, ancora durante la vita,
scoperto, realizzato e raggiunto quell'altissimo scopo dell'ascetismo che
porta i nobili figli dalla casa all'eremo. "Esausta è la vita, compiuta la
santità, operata l'opera, non esiste più questo mondo", egli comprese
allora. Anche l'onorevole Bhâradvâjo era adesso divenuto uno dei santi.
Sammâditthi Sutta
La retta conoscenza
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava
presso Sâvatthi, nella Selva del Vincitore, nel parco di Anâtapindiko. Là
l'onorevole Sâriputto si rivolse così ai monaci: ""La retta conoscenza, la
retta conoscenza", di questo si parla, fratelli. Ma fino a che punto un
nobile uditore ha la retta conoscenza, la sua conoscenza è giusta, il suo
amore alla dottrina provato ed egli appartiene a questa nobile dottrina?"
"Verremmo dall'onorevole Sâriputto persino da lontano
per avere su ciò un chiarimento: se egli vorrà spiegare ciò i monaci
conserveranno le sue parole."
"Allora, fratelli, ascoltate con attenzione. Se il
nobile uditore conosce ciò che è dannoso e ne conosce la radice, egli ha
retta conoscenza, la sua conoscenza è giusta, il suo amore per la dottrina
è provato, egli appartiene a questa nobile dottrina. Ma cos'è dannoso,
cos'è la radice del dannoso, cos'è salutare e qual è la radice del
salutare? Uccidere è dannoso e tutte quest'altre cose sono dannose:
rubare, darsi a stravizi, mentire, dire male, parlare aspramente,
ciarlare, bramare, infuriarsi, avere falsa conoscenza.
La radice di ciò che è dannoso poi sono la brama,
l'avversione e l'errore.
E cosa è salutare? Astenersi da tutte le cose dannose.
E qual è la radice del salutare? Mancanza di brama, di avversione e di
errore è la radice del salutare.
Se ora il nobile uditore conosce ciò che è dannoso, ciò
che è la radice di quello, ciò che è salutare e ciò che è la radice del
salutare, e se ha completamente rinnegata l'agitazione del bramare, fugata
quella della ripugnanza, schiantata l'agitazione dell'Io, se ha perduta
l'ignoranza e acquistata la sapienza, allora egli già in questa vita mette
fine al dolore."
"Bene, fratello, ma vi è anche un altro modo per il
nobile uditore per raggiungere tutto ciò?"
"Certo, fratelli, se l'uditore conosce il nutrimento e
l'origine del nutrimento, conosce la sua distruzione e la via che conduce
alla distruzione del nutrimento, egli ha retta conoscenza, giusta
conoscenza, il suo amore per la dottrina è provato, egli appartiene a
questa nobile dottrina. Ma che cos'è il nutrimento, qual è la sua origine,
come lo si distrugge e qual è la via che conduce a ciò? Vi sono quattro
specie di nutrimento: primo, cibo elementare, grosso o fino; secondo,
contatto fisico; terzo, percezione spirituale; quarto, coscienza.
L'origine della sete di vivere determina l' origine del nutrimento; la sua
distruzione determina la distruzione del nutrimento. La via che conduce a
ciò è il nobile sentiero ottopartito, cioè: retti conoscenza, intenzione,
parola, azione, vita, sforzo, sapere, raccoglimento.
Se ora il nobile uditore conosce il nutrimento, la sua
origine, la sua distruzione e la via che conduce a ciò, e ha completamente
vinto la brama e l'avversione, se ha schiantata l'agitazione dell'Io, se
ha perduto l' ignoranza e acquistato la sapienza, egli già in questa vita
mette fine al dolore."
"Bene, fratello, ma vi è ancora un altro modo per il
nobile uditore per raggiungere tutto ciò?"
"Certamente, fratelli. Se egli conosce il dolore,
l'origine del dolore, l' annientamento del dolore e la via che conduce a
ciò, egli ha la conoscenza giusta, è provato il suo amore alla dottrina ed
egli appartiene ad essa. Ma cos'è il dolore, qual è la sua origine, cos'è
il suo annientamento, e cosa la via che porta all'annientamento del
dolore? Nascita è dolore, vecchiaia è dolore, lo è la malattia, lo è il
morire e così pure sono dolore i guai, l 'afflizione, la pena, lo strazio,
la disperazione, non ottenere ciò che si desidera.; in breve, sono dolore
i cinque elementi dell'attaccamento alla vita. E qual è l'origine del
dolore? E' questa sete di vivere, che produce nuova esistenza, alimentata
dalla soddisfazione che si nutre qua e là; è l' attaccamento al sesso,
l'attaccamento all'esistenza e al benessere. E l' annientamento del
dolore? E' il completo, totale annientamento, allontanamento,
respingimento; è la soppressione, il rinnegamento di questa sete di
vivere. Ma qual è la via che porta all'annientamento del dolore? E '
questo nobile ottuplice sentiero, cioè: retti conoscenza, intenzione,
parola, azione, vita, sforzo, sapere, raccoglimento.
Se ora il nobile uditore conosce tutto ciò, e più non
brama, più non ha repulsione, ed ha schiantato il turbamento dell'Io, se,
perduta l'ignoranza, ha acquistato la sapienza, allora egli già in questa
vita mette fine al dolore."
"Bene, fratello! Ma vi è forse anche un altro modo?"
"Certo, fratelli. Se il nobile uditore conosce
vecchiaia e morte,(jarâ-marana), e la loro origine; se ne conosce
l'annientamento e la via che a ciò conduce, allora egli ha retta e giusta
conoscenza. Ma cosa sono la vecchiaia e la morte, qual è il loro
annientamento e qual è la via che lo consente? Vecchiaia è per ognuno il
consumarsi del corpo, il divenire fragili, grigi, pieni di rughe, il
decadere delle forze, l' appassire dei sensi. (chiedete a Pam. ;-) E la
morte? E' il disfarsi, il dissolversi, il decomporsi, il tramontare,
l'estinguersi di ciascun essere, il separarsi degli elementi, il
putrefarsi del cadavere. L'origine della nascita (jâti) determina
l'origine della vecchiaia e della morte, l' annientamento della nascita
prova il loro annientamento. E la via che porta a ciò è il nobile
ottuplice sentiero.
Se ora, fratelli, il nobile uditore conosce tutto ciò
ed è lontano da brama, repulsione, non è più turbato dall'Io, se, vinta
l'ignoranza, ha acquistato la sapienza, allora egli già in questa vita
mette fine al dolore.
Ma cos'è la nascita, la sua origine, il suo
annientamento e la via che porta al suo annientamento? Nascita,
formazione, germinazione, concepimento di ciascun corpo in ogni essere,
l'aggregarsi degli elementi, l'entrare in contatto col mondo esterno:
questo è la nascita. L'origine dell'esistenza (bhava) determina l'origine
della nascita, il suo annientamento produce l' annientamento dell'altra. E
la via che porta a ciò è il nobile sentiero ottopartito.
Se ora il nobile uditore conosce tutto ciò, e più non
brama, più non ha repulsione, ed ha schiantato il turbamento dell'Io; se,
perduta l'ignoranza, ha acquistato la sapienza, allora egli già in questa
vita mette fine al dolore.
Ma cos'è l'esistenza, qual è la sua origine, qual è il
suo annientamento e quale la via che conduce a ciò? Vi sono tre specie di
esistenza, fratelli: esistenza sessuale, esistenza formale ed esistenza
senza forma. L'origine dell'attaccamento alla vita (upâdâna) determina
l'origine dell'esistenza, e il suo annientamento provoca l'annientamento
dell'altra. E la via che conduce a ciò è il nobile sentiero ottopartito.
Se ora, fratelli, il nobile uditore conosce tutto ciò ed è lontano da
brama, repulsione, non è più turbato dall'Io; se, vinta l'ignoranza, ha
acquistato la sapienza, alloraegli già in questa vita mette fine al
dolore.
Ma cos'è l'attaccamento alla vita, da cosa è originato,
cos'è il suo annientamento, e qual è la via che provoca il suo
annientamento? Ci sono quattro specie di attaccamento alla vita:
attaccamento alla sessualità, alla multiscienza (i Veda), all'ascesi come
scopo a se stessa, l'attaccamento al perdurare personale. L'origine della
sete di vivere (tanhâ) determina l' attaccamento alla vita, e il suo
annientamento determina l'annientarsi dell' attaccamento alla vita. E la
via che conduce a ciò è il nobile ottuplice sentiero. Se ora, fratelli, il
nobile uditore conosce tutto ciò, ed è lontano da brama, repulsione, non è
più turbato dall'Io; se, vinta l' ignoranza, ha acquistato la sapienza,
allora egli già in questa vita mette fine al dolore.
Ma cos'è la sete di vivere, qual è la sua origine e la
sua distruzione, e quale la via da percorrere?
Vi sono sei specie di sete di vivere: sete delle forme,
dei suoni, degli odori, dei sapori, dei contatti e delle cose. L'origine
della sensazione (vedanâ) determina l'origine della sete di vivere, il suo
annientamento ne determina l'annientamento, e la via che vi conduce è il
nobile ottuplice sentiero. Se ora, fratelli, il nobile uditore conosce
tutto ciò, ed è lontano da brama, repulsione, non è più turbato dall'Io;
se, vinta l' ignoranza, ha acquistato la sapienza, allora egli già in
questa vita mette fine al dolore.
Ma che è la sensazione, da cosa origina, cosa la
distrugge e qual è la via che lo consente? Vi sono sei specie di
sensazioni: sensazioni prodotte da contatto visivo, uditivo, olfattivo,
gustativo, tattile, intellettivo. L' origine del contatto (phassa)
determina l'origine della sensazione, il suo annientamento determina
quello della sensazione. E la via che conduce a ciò è il nobile santiero
ottopartito. Se ora, fratelli, il nobile uditore conosce tutto ciò, ed è
lontano da brama, repulsione, non è più turbato dall 'Io; se, vinta
l'ignoranza, ha acquistato la sapienza, allora egli già in questa vita
mette fine al dolore.
Ma cos'è il contatto, da che è originato, cosa lo
annienta e qual è la via per annientarlo? Vi sono sei specie di contatti:
quelli legati ai rispettivi sei sensi compreso quello mentale. L'origine
della sestupla sede (salâyâtâna) determina l'origine del contatto, e il
suo annientamento annienta il contatto. E la via per annientarla è il
nobile sentiero ottuplice. Se ora, fratelli, il nobile uditore conosce
tutto ciò, ed è lontano da brama, repulsione, non è più turbato dall'Io;
se, vinta l' ignoranza, ha acquistato la sapienza, allora egli già in
questa vita mette fine al dolore.
Ma cos'è la sestupla sede, cosa la origina, cosa
l'annienta e quale via conduce a ciò? Vi sono sei sedi dei sensi compresa
la sede del senso del pensiero. L'origine di immagine e concetto, di nome
e forma (nâma-rûpa) determina l'origine delle sei sedi dei sensi, la sua
distruzione conduce alla loro distruzione, e la via che conduce a ciò è
l'ottuplice sentiero. Se ora, fratelli, il nobile uditore conosce tutto
ciò, ed è lontano da brama, repulsione, non è più turbato dall'Io; se,
vinta l'ignoranza, ha acquistato la sapienza, allora egli già in questa
vita mette fine al dolore.
Ma cos'è immagine e concetto, cosa ne è l'origine, cosa
produce il suo annullamento e con quale via lo si ottiene? Per concetto si
intende la sensazione, la percezione, la comprensione e la riflessione. Le
quattro materie principali e ciò che esiste come forma di esse è ciò che
si chiama immagine. L'origine della coscienza (viññana) determina
l'origine di immagine e concetto, il suo annientamento ne determina
l'annientamento. E la via che conduce a ciò è l'ottuplice sentiero. Se
ora, fratelli, il nobile uditore conosce tutto ciò, ed è lontano da brama,
repulsione, non è più turbato dall'Io; se, vinta l'ignoranza, ha
acquistato la sapienza, allora egli già in questa vita mette fine al
dolore.
Ma cos'è la coscienza, qual è la sua origine, cosa
l'annienta e quale viaporta a ciò? Vi sono sei specie di coscienza che
coinvolgono i sei sensi compreso quello mentale. L'origine delle
distinzioni che predispongono (samkhâra) determina l'origine della
coscienza, il loro annientamento annienta la coscienza. E la via che
conduce a ciò è il sentiero ottopartito. Se ora, fratelli, il nobile
uditore conosce tutto ciò, ed è lontano da brama, repulsione, non è più
turbato dall'Io; se, vinta l' ignoranza, ha acquistato la sapienza, allora
egli già in questa vita mette fine al dolore.
Ma cosa sono le distinzioni, qual è la loro origine,
come annientarle e qual è la via per farlo? Vi sono tre specie di
distinzioni: quella fisica, quella verbale e quella spirituale. L'origine
dell'ignoranza (avijjâ) è ciò che determina l'origine delle distinzioni,
il suo annientamento le annienta, e la via che permette ciò è il nobile
ottuplice sentiero. Se ora, fratelli, il nobile uditore conosce tutto ciò,
ed è lontano da brama, repulsione, non è più turbato dall'Io; se, vinta
l'ignoranza, ha acquistato la sapienza, allora egli già in questa vita
mette fine al dolore.
Ma cos'è l'ignoranza, cosa la origina, cosa la
distrugge, e quale via lo consente? Non conoscere il dolore (dukkha), non
conoscerne l'origine, non conoscere come annientarlo, e non conoscere la
via che lo permette; ciò, fratelli, si chiama ignoranza. L'origine della
mania (âsava) determina l' origine dell'ignoranza, il suo annientamento ne
determina l'annientamento.
E la via che conduce a ciò è il nobile ottuplice
sentiero. Se ora, fratelli, il nobile uditore conosce tutto ciò, ed è
lontano da brama, repulsione, non è più turbato dall'Io; se, vinta
l'ignoranza, ha acquistato la sapienza, allora egli già in questa vita
mette fine al dolore.
Ma cos'è la mania, qual è l'origine della mania, cos'è
l'annientamento della mania, qual è la via che porta all'annientamento
della mania? Vi sono tre specie di mania, fratelli: mania di desiderio (kâma-âsava),
mania d' esistenza (bhava-âsava), mania d'ignoranza (avijjâ-âsava).
L'origine dell' ignoranza determina l'origine della mania, l'annientamento
dell'ignoranza determina l'annientamento della mania. Ma la via che
conduce all' annientamento della mania è il nobile ottuplice sentiero,
cioè: retta parola, retta azione, retta vita, retto sforzo, retto sapere,
retto raccoglimento. Se ora, fratelli, il nobile uditore conosce così la
mania, così la sua origine, così il suo annientamento, così la via che
conduce al suo annientamento, e ha completamente rinnegata l'agitazione
del bramare, fugata l'agitazione del respingere, schiantata l'agitazione
dell'Io; se ha perduta l'ignoranza, acquistata la sapienza, allora egli
già in questa vita mette fine al dolore. Pertanto, fratelli, un nobile
uditore ha la retta conoscenza, la sua conoscenza è giusta, il suo amore
alla dottrina provato, egli appartiene a questa nobile dottrina."
Così parlò l'onorevole Sâriputto. Contenti si
rallegrarono quei monaci per la sua parola.
Satipatthâna Sutta
I pilastri del sapere
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava nella terra dei Kurû,
presso la città dei Kurûni detta Kammâsadamman (1). Là il Sublime si
rivolse ai monaci: "La diritta via, monaci, che conduce alla purificazione
degli esseri, al superamento del dolore e della miseria, alla distruzione
della sofferenza e della pena, al conseguimento di ciò che è giusto, alla
realizzazione dell'estinzione, è data dai quattro pilastri del sapere.
Ecco che un monaco vigila presso il corpo sul corpo, instancabile, con
chiara mente, sapiente, dopo aver superato le brame e le cure del mondo;
allo stesso modo vigila presso le sensazioni sulle sensazioni; presso
l'animo sull'animo; presso i fenomeni sui fenomeni. E come lo fa? Un
monaco si reca all'interno della foresta, o sotto un grande albero, o in
un vuoto eremo, si siede con le gambe incrociate, il corpo diritto, e si
esercita nel sapere. Cosciente egli inspira, cosciente espira. Se inspira
profondamente egli lo sa; se inspira brevemente, egli ne è consapevole.
"Voglio inspirare sentendo tutto il corpo", "Voglio espirare sentendo
tutto il corpo", "Voglio inspirare calmando questa combinazione corporea",
"Voglio espirare calmando questa combinazione corporea"; così egli si
esercita. Così come un abile tornitore o garzone tornitore tirando
fortemente sa "Io tiro fortemente", tirando lentamente sa "Io tiro
lentamente": così accade al monaco allorché inspira ed espira.
Così egli vigila presso il corpo interno sul corpo,
presso il corpo esterno sul corpo, di dentro e di fuori egli vigila presso
il corpo sul corpo. Egli osserva come il corpo si forma, come esso
trapassa; osserva come il corpo si forma e come trapassa. "Ecco com'è il
corpo": tale sapere diviene il suo sostegno perché esso serve alla
comprensione, alla riflessione; ed egli vive indipendente e non desidera
nulla dal mondo. E ancora: il monaco, quando cammina, sa che lo sta
facendo; lo stesso quando è fermo; così pure quando è seduto e quando
giace; egli sa in quale posizione si trova, qualsiasi essa sia. E ancora:
il monaco è chiaramente consapevole nel venire e nell'andare; nel guardare
e nel distogliere lo sguardo; nel chinarsi e nel sollevarsi; nel portare
l'abito e la scodella dell'elemosina; nel mangiare e nel bere; nel
masticare e gustare; nel liberarsi dalle feci e dall'urina; nel camminare
o nello stare seduto; nell'addormentarsi e nel risvegliarsi, nel parlare e
nel tacere.
E inoltre: il monaco esamina questo corpo dalla cima
della testa alle piante dei piedi, la pelle che lo ricopre e come esso è
ripieno di varie impurità: "Questo corpo ha capelli, peli, ha unghie e
denti, pelle e carne, tendini, ossa e midollo, reni, cuore e fegato,
diaframma, milza, polmoni, stomaco, intestini, mucose e feci, ha bile,
secrezioni, marciume, sangue, sudore, linfa, lacrime, siero, saliva, muco,
liquido articolare, urina". Così come se vi fosse un sacco legato ai due
capi, pieno di diversi cereali: riso, fave, sesamo; e un uomo competente
lo slegasse e ne esaminasse il contenuto: "Questo è riso, queste sono
fave, questo è sesamo": allo stesso modo appunto un monaco esamina questo
corpo in tutti i particolari. E ancora: il monaco esamina questo corpo,
sia che vada o che stia, specificando: "Questo corpo ha la specie 'terra',
ha la specie 'acqua', la specie 'fuoco' e la specie 'aria'. Così come se
un abile macellaio o un garzone macellaio, avendo macellata una vacca, la
porta al mercato, la seziona pezzo per pezzo, ne espone le varie parti, le
conosce, le osserva, le esamina bene e quindi si siede (2): proprio così
un monaco considera questo corpo.
E inoltre ancora, monaci: come se il monaco avendo
visto un corpo che giace al cimitero, un giorno, due o tre giorni dopo la
morte, gonfio, illividito, divenuto putrefatto, concludesse: "Anche il mio
corpo è fatto così, diventerà così, non può sfuggire a ciò". E ancora:
come se il monaco avendo visto al cimitero un corpo straziato da
cornacchie, corvi o avvoltoi, sbranato da cani e sciacalli, roso da molte
specie di vermi, concludesse: "Tutto ciò può accadere anche a me". E
inoltre: come se il monaco avendo visto al cimitero uno scheletro con
brani di carne, sporco di sangue, tenuto assieme dai tendini; o più tardi,
uno scheletro privo di carne, sporco di sangue, tenuto assieme dai
tendini; e più tardi ancora le ossa, senza i tendini, sparse qua e là; qua
un osso della mano, là un osso del piede, una tibia, un femore, il bacino,
delle vertebre, il cranio, concludesse: "Anche il mio corpo è fatto così,
diventerà così, non può sfuggire a ciò". E ancora: come se il monaco
avendo visto le ossa, sbiancate come conchiglie, le ossa sfatte,
ammucchiate dopo che è trascorso un anno; le ossa corrotte, divenute
polvere, concludesse: "Tutto ciò accadrà anche a me". Così egli vigila sul
corpo interno, vigila sul corpo esterno, vigila sul corpo interno ed
esterno.
Ma come vigila un monaco sulle sensazioni? Un monaco,
quando prova una sensazione piacevole, ne è consapevole; lo stesso quando
prova una sensazione dolorosa o una sensazione né piacevole né dolorosa.
Quando prova una sensazione piacevole mondana, se ne rende conto, e
altrettanto quando si tratta di una sensazione piacevole trascendente, di
una sensazione dolorosa mondana o trascendente, di una sensazione neutra
mondana o trascendente. Così egli vigila sulle sensazioni, osserva come la
sensazione si forma, come passa, e come si forma e passa. "Ecco cos'è la
sensazione": tale sapere diviene il suo sostegno perché gli serve per
conoscere, per riflettere; ed egli vive indipendente e senza brama del
mondo.
Ma come vigila un monaco presso l'animo e sull'animo?
Un monaco conosce l' animo bramoso e l'animo non bramoso, quello astioso e
quello non astioso, l' animo che erra e quello senza errore, quello
raccolto e quello che non lo è, l'animo distratto, l'animo tendente
all'alto sentire e quello tendente al basso sentire, l'animo nobile,
quello volgare, l'animo tranquillo, quello inquieto, l'animo redento e
l'animo vincolato; e di tutti si rende conto. Egli osserva come l'animo si
forma, come trapassa, come si forma e trapassa. "Ecco com'è l'animo": tale
sapere diviene il suo sostegno perché esso serve alla conoscenza, alla
riflessione; ed egli vive indipendente e senza brama del mondo.
Ma come vigila un monaco presso i fenomeni sui
fenomeni? Un monaco osserva sui fenomeni il manifestarsi dei cinque
ostacoli (nîvarana): osserva quando la brama (kâmacchanda) è in lui e
quando non lo è; osserva quando in lui vi è avversione (vyâpâda); quando
vi è accidia (thîna-middha); quando vi è superbia ( o agitazione-ansia =
uddhacca-kukkucca); quando vi è dubbio (vicikicchâ), e quando essi non vi
sono. E per ognuno dei cinque ostacoli osserva come comincia a
svilupparsi; osserva come quando divenuto evidente viene rinnegato, e
osserva quando gli ostacoli, rinnegati, non compaiono più nell'avvenire.
"Ecco i fenomeni": tale sapere diviene il suo sostegno perché esso serve
alla conoscenza, alla riflessione; ed egli vive indipendente e senza brama
del mondo.
Ma come vigila un monaco presso i fenomeni sul
manifestarsi dei cinque tronchi dell'attaccamento? Un monaco dice a se
stesso: "Così è la forma (rûpa), così è la sensazione (vedanâ), così è la
percezione (saññâ), così sono le distinzioni (sankhâra), così è la
coscienza (viññâna) ; così esse hanno origine, così esse si dissolvono.
E inoltre il monaco vigila presso i fenomeni sul
manifestarsi dei sei regni interni-esterni (sal-âyatana). Come? Un monaco
conosce l'occhio e conosce le forme; conosce l'orecchio e conosce i suoni;
conosce il naso e conosce gli odori; conosce la lingua e conosce i sapori;
conosce il corpo e conosce i contatti; conosce il pensiero e conosce le
idee. Conosce come essi si combinano e cosa ne risulta; conosce quando la
combinazione avviene, quando essa cessa, e quando la cessata combinazione
non si verifica più nell' avvenire.
E inoltre il monaco vigila presso i fenomeni sul
manifestarsi dei sette fattori di risveglio (sambojjhanga). Come? Un
monaco s'accorge quando sono in lui la consapevolezza (sati), il
raccoglimento (l'esame dei fenomeni = dhammavicaya), la forza (viriya), la
serenità gioiosa (pîti), la calma (passaddhi), la concentrazione (samâdhi),
l'equanimità (upekkhâ). Conosce quando i sette fattori di risveglio si
destano, quando divenuti desti si sciolgono.
E inoltre ancora un monaco vigila presso i fenomeni sul
manifestarsi delle quattro nobili verità. Come? Un monaco comprende
secondo verità "Questo è il dolore", "Questa è l'origine del dolore",
"Questo è l'annientamento del dolore", "Questa è la via che conduce
all'annientamento del dolore".
Chi, monaci, sa così sostenere questi quattro pilastri
del sapere può aspettarsi queste due possibilità: sicurezza durante la
vita o non ritorno dopo la morte. Lasciamo stare i sette anni: chi,
monaci, sa così sostenere questi quattro pilastri del sapere per sei anni,
cinque, quattro, tre, due, un solo anno; lasciamo stare l'anno: chi,
monaci, per sette mesi sa così sostenere questi quattro pilastri del
sapere può aspettarsi queste due possibilità: sicurezza durante la vita o
non ritorno dopo la morte. Ma lasciamo stare i sette mesi: chi, monaci,
per sei mesi, cinque, quattro, tre, due, un mese, per un mezzo mese sa
così sostenere questi quattro pilastri del sapere. lasciamo stare persino
il mezzo mese: chi, monaci, per sette giorni sa così sostenere questi
quattro pilastri del sapere può aspettarsi queste due possibilità:
sicurezza durante la vita o non ritorno dopo la morte.
"La diritta via che conduce alla purificazione degli
esseri, al superamento del dolore e della miseria, alla distruzione della
sofferenza e della pena, al conseguimento di ciò che è giusto, alla
realizzazione dell'estinzione, è data dai quattro pilastri del sapere": se
questo è stato detto lo è stato di proposito."
Così parlò il Sublime. Contenti si rallegrarono quei
monaci della parola del Sublime.
Note
(1) Forse sepolta sotto l'attuale Kamasin, nella piana
Kurukshetram della Jamna (o Yamunâ), ad occidente di Allâhâbâd.
(2) Dato che, in India, da più di 2000 anni l'uccisione
di una vacca è considerato un orribile delitto, risulta che la redazione
di questo testo dev'essere anteriore di alcuni secoli ad Ashoka e risalire
ai tempi in cui il macello di vacche per la pubblica vendita era accettato
come normale.
Pur considerando l'orrore che questa descrizione,
considerata come un resto barbarico dell'antichità, poteva suscitare, essa
fu conservata e tramandata intatta. Ciò prova la straordinaria venerazione
per le parole del Maestro e lo scrupolo con cui le Sue parole furono
tramandate.
Attenzione! Riporto qui sotto un brano iniziale
tradotto in inglese da Nyanasatta Thera con le sue note di commento, per
chiarire il senso di ciò che il De Lorenzo ha tradotto: ''... vigila
presso il corpo sul corpo...''; ''vigila presso le sensazioni sulle
sensazioni''; e via dicendo.
Quivi (in questo insegnamento) un monaco vive
contemplando il corpo nel corpo, [1] ardente, chiaramente comprendendo e
attento, avendo superato, in questo mondo, la cupidigia e l'afflizione;
vive contemplando i sensi nei sensi, ardente, chiaramente comprendendo e
attento, avendo superato, in questo mondo la cupidigia e l'afflizione;
vive contemplando la coscienza nella coscienza,[2] ardente, chiaramente
comprendendo e attento, avendo superato, in questo mondo la cupidigia e
l'afflizione; vive contemplando gli oggetti mentali negl'oggetti
mentali,[2] ardente, chiaramente comprendendo e attento, avendo superato,
in questo mondo la cupidigia e l'afflizione.
Note
1. La ripetizione delle frasi 'contemplando il corpo
nel corpo, sensi nei sensi, ecc., si vuole insistere presso il meditante
sull'importanza di stare coscienti se nell'attenzione sostenuta diretta ad
un singolo oggetto scelto, si ci è tenuti saldi o se non si è fuggiti nel
campo di un'altra contemplazione. Ad esempio, quando si contempla un
processo corporeo, un meditante può alla sua insaputa farsi trascinare in
una considerazione dei suoi sentimenti in relazione con questo processo
corporeo. Dovrebbe allora essere chiaramente cosciente dell'aver lasciato
il suo soggetto originale, ed è impegnato nella contemplazione del
sentimento.
Cûlasîhanâda Sutta
Il ruggito del leone
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nella
selva del Vincitore, nel giardino di Anâthapindiko. Là così si rivolse ai
monaci: " 'Qui finalmente, monaci, mentre altrove si trovano solo parolai
dell'ascesi, qui si trovano sino a quattro veri asceti': questo, monaci, è
il vero ruggito che dovete fare risuonare. Ma penitenti d'altro indirizzo
potrebbero obbiettare: 'Con quale diritto e ragione, onorevoli, parlate
così?'. La vostra risposta dovrebbe essere questa: 'Fratelli, il Sublime,
il Conoscitore, il Veggente, il Santo, il perfetto Svegliato ci ha
spiegato quattro cose che ora noi comprendiamo intimamente, ecco perché
parliamo così. Quali quattro cose? Noi, fratelli, amiamo il maestro,
amiamo la dottrina, adempiamo la regola dell'Ordine, e i probi ci sono
cari e graditi, siano essi laici o religiosi. Ma potrebbe darsi che
penitenti d'altro indirizzo dicessero: 'Anche noi amiamo il nostro
maestro, anche noi amiamo la nostra dottrina, anche noi adempiamo la
nostra regola, anche a noi sono cari i probi, siano essi laici o
religiosi: che differenza c'è dunque tra voi e noi?' A tale discorso
sarebbe da replicare: 'Che ne pensate voi, fratelli: la perfezione è
individuale o generale?' E la giusta risposta dei penitenti sarebbe:
'Individuale è la perfezione, non generale'. 'E la perfezione l'ha il
bramoso o chi è senza brama?' E la giusta risposta degli altri penitenti
sarebbe: 'Chi è senza brama'. 'E la perfezione l'ha l' astioso?' E la
giusta risposta degli altri sarebbe: 'Chi è senza astio' 'E la perfezione
l'ha chi erra?' E la giusta risposta dei penitenti sarebbe: 'Chi è senza
errore'. E la perfezione l'ha chi trova la vita gradevole, o chi non la
trova gradevole?' Giusta risposta: 'Chi non la trova gradevole'.
E la perfezione l'ha chi è attaccato all'esistenza o
chi è da essa staccato?
' Giusta risposta: 'Chi è staccato da essa'. 'E la
perfezione l'ha il sapiente o l'ignorante?' Giusta risposta dei penitenti:
'Il sapiente, non l 'ignorante'. 'E l'avrebbe chi è ora lieto e ora triste
o chi non è né lieto né triste? Giusta risposta sarebbe: 'Chi non è lieto
né triste'. 'Ed è perfetto chi ama la diversità e da essa è soddisfatto o
il contrario?'.
Giusta risposta sarebbe: 'Colui al quale non piace
nessuna diversità, non soddisfa nessuna diversità'.
Vi sono due specie di idee: L'idea dell'essere e quella
del non essere.
Tutti gli asceti o i brâmani che sono attaccati
all'idea dell'essere, che indulgono ad essa, che dipendono da essa, sono
rattristati dall'idea del non essere. Tutti gli asceti o i brâmani che
sono attaccati all'idea del non essere, che indulgono ad essa, che
dipendono da essa, sono rattristati dall' idea dell'essere. Tutti gli
asceti o i brâmani che non hanno meditato conforme alla verità il
principio e la fine, l'assuefazione, il disgusto e il superamento di
queste due idee, e sono bramosi, astiosi, in errore, contenti della vita,
attaccati all'esistenza, ignoranti, ora lieti ora tristi, amanti e
soddisfatti della diversità: costoro non si redimono da nascita, vecchiaia
e morte, da cure, pene e tormento, da strazio e disperazione, non si
redimono dal dolore. Ma tutti gli asceti o i brâmani che hanno meditato
conforme a verità tutte quelle cose, e sono senza brama, senza astio,
senza errore, senza sete di vivere, staccati dall'esistenza, sapienti, né
lieti né tristi, che non amano né sono soddisfatti dalle diversità:
costoro si redimono da nascita, vecchiaia e morte, si redimono, io dico,
dal dolore.
Vi sono quattro specie di attaccamento, monaci:
attaccamento alla sessualità, alla multiscienza vedica, all'ascesi fine a
se stessa e al perdurare personale. Vi sono parecchi asceti o brâmani che
si dichiarano capaci di spiegare tutta la vita dalle fondamenta; ma tale
spiegazione essi non la danno: essi esaminano l'attaccamento alla
sessualità, ma non l' attaccamento alla multiscienza, non quello
all'ascesi fine a se stessa, non l'attaccamento al perdurare personale. E
perché no? Quei cari asceti o brâmani non hanno convenientemente meditato
su queste tre cose, e perciò, sebbene pensino di comprendere tutta la vita
dalle fondamenta, non possono compiere tale esame. Vi sono asceti o
brâmani che esaminano l'attaccamento alla sessualità, l'attaccamento alla
multiscienza, ma non l'attaccamento alle altre due cose. Non avendolo
fatto, sebbene pensino di comprendere tutta la vita dalle fondamenta, non
lo possono fare. Altri asceti o brâmani esaminano i primi tre
attaccamenti, ma non l'attaccamento al perdurare personale, e, sebbene
pensino di comprendere tutta la vita dalle fondamenta, non possono farlo.
In quel modo, monaci, non possono essere perfetti né
l'amore per il maestro, né quello per la dottrina, né l'adempimento della
regola, né la valutazione e il gradimento dei probi. Perché? Perché non
può essere diverso se un ordine è male annunziato, mal esposto,
repellente, turbativo, non annunziato da un perfetto Svegliato.
Ma il Compiuto, monaci, il Santo, il perfetto Svegliato
si dichiara capace di spiegare tutta la vita dalle fondamenta, e lo fa.
Egli esamina l' attaccamento alla sessualità, quello alla multiscienza,
quello all'ascesi fine a se stessa, e l'attaccamento al perdurare
personale.
In quel modo, monaci, sono perfetti l'amore al maestro,
quello alla dottrina, l'adempimento della regola, la valutazione e il
gradimento dei probi, perché è ciò che ci si può aspettare in un ordine
ben annunziato, ben esposto, attraente, che dà calma, annunziato da un
perfetto Svegliato.
Ma questo quadruplice attaccamento, monaci, dove ha
radice, da dove germina, da dove sorge, da dove cresce? Esso ha radice
nella sete (tanhâ), germina, sorge e cresce dalla sete. E la sete dove ha
radice, da dove germina, da dove sorge, da dove cresce? La sete ha radice
nella sensazione (vedanâ). E la sensazione? La sensazione ha radice nel
contatto (phassa). E il contatto? Il contatto ha radice nella sestupla
sede (sal-âyatana). E la sestupla sede? Essa ha radice in immagine e
concetto (nâma-rûpa). E immagi ne e concetto? Essi, che sono un tutt'uno,
hanno radice nella coscienza (viññâna). E la coscienza? La coscienza ha
radice nelle distinzioni (predisposizioni = samkhâra). E le distinzioni?
Le distinzioni hanno radice nell'ignoranza (avijjâ).
Ora, monaci, se un monaco ha rinnegato l'ignoranza e ha
acquistato la sapienza, egli non è più attaccato alla sessualità, non alla
multiscienza, non all'ascesi fine a se stessa, non al perdurare personale.
Senza attaccamento egli diviene incrollabile. Incrollabile egli raggiunge
la propria estinzione. Egli allora comprende: 'Esausta è la vita, compiuta
la santità, operata l'opera, non esiste più questo mondo'."
Così parlò il Sublime. Contenti si rallegrarono quei
monaci della parola del Sublime.
Mahâsihanada Sutta
(Lomahamsanapariyayo)
Il
rabbrividire
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Vesali, fuori
della citta', al margine della foresta. Allora Sunakkhatto, un principe
Licchavio, da poco uscito dall'Ordine, diceva per tutta Vesali: "L'asceta
Gotamo non possiede il sopraterreno ricco santuario della chiarezza del
sapere: l'asceta Gotamo proclama una sottile, intricata dottrina, che egli
stesso ha ideato ed escogitato; e lo scopo per cui egli espone la sua
dottrina, e' semplicemente questo: che chi riflette raggiunge totale
annientamento del dolore."
Ora avvenne che l'onorevole Sariputto, munito di
mantello e scodella, avviatosi per l'elemosina verso Vesali, udi' cio' che
il principe Sunakkhatto diceva in giro per tutta Vesali. Quindi, allorche'
torno' indietro, dopo aver consumato il cibo elemosinato, si reco' presso
il Sublime e Gli riferi' cio' che il principe diceva.Cosi' disse il
Sublime:
"O Sariputto, Sunakkhatto e' vano e iracondo, perche'
solo per l'ira ha pronunciato quelle parole: egli vuole biasimare il
Compiuto, ma con cio' loda il Compiuto, perche' e' lode al Compiuto dire:
lo scopo per cui egli esprime la sua dottrina e' semplicemente questo: che
chi riflette raggiunge totale annientamento del dolore.
Certo, Sunakkhatto non pensa di me, conforme a verita',
: Questo e' il Sublime, il perfetto Svegliato, il Santo, l'Esperto di
sapienza e di vita, il Benvenuto, il Conoscitore del mondo,
l'incomparabile duce dell'umano gregge, il maestro degli dèi e degli
uomini, lo Svegliato, il Sublime. E inoltre: questo e' il Sublime, che in
vari modi si allegra di magica potenza: che da uno diviene molteplice, e
molteplice, uno; che appare e dispare; che attraverso rupi, valli e muri
si libra e passa come per l'aria; che sulla terra emerge e s'immerge come
nell'acqua; che sull'acqua cammina senza affondare come sulla terra; che
attraverso l'aria procede sedendo come l'uccello con i suoi piccoli; che
sente e tocca con mano questa luna e questo sole, cosi' possenti, cosi'
violenti; che ha il corpo in suo potere fino ai mondi di Brahma. E ancora:
questo e' il Sublime, che con l'orecchio celeste, purificato,
sopraterreno, sente due specie di suoni, i celesti e i terreni, i lontani
e i vicini. E ancora: questo e' il Sublime, che agli altri esseri, alle
altre persone, scruta a fondo e riconosce animo e cuore; riconosce il
cuore bramoso e quello senza brama, il cuore astioso e quello senz'astio,
il cuore errante e quello senza errore, il cuore raccolto e quello
distratto, il cuore tendente all'alto e quello di basso sentire, il cuore
nobile e quello volgare, il cuore calmo e quello inquieto, il cuore
redento e quello vincolato.
Vi sono dieci virtu', o Sariputto, che convengono e
spettano al Compiuto, per comprendere quel che e' sorprendente, per far
risonare tra le genti il ruggito del leone, per fondare il regno della
santita'; queste dieci virtu' sono: il Compiuto, o Sariputto, comprende il
vero e il falso, conforme a verita'. Comprende vere e reali conseguenze di
azioni passate, presenti e future, conforme a verita'. Conosce la Via che
mena dappertutto, conforme a verita'. Conosce, conforme a verita', come il
mondo sia composto da singoli elementi e da diversi elementi. Conosce,
conforme a verita', le diverse inclinazioni degli esseri. Conosce la
misura data dai sensi agli altri esseri, alle altre persone, conforme a
verita'. Conosce, conforme a verita', colpa, purezza ed esito del
contemplante redento e raccolto. Si ricorda di diverse forme di esistenza
anteriori come di una vita, due vite, cento vite, mille vite, centomila
vite; la' ero io, avevo quel nome, appartenevo a quella famiglia, quello
era il mio stato, il mio officio, provai tale bene e male, cosi' fu la
fine della mia vita; di la' trapassato entrai io altrove di nuovo in
esistenza. Cosi' egli si ricorda di molte diverse anteriori forme di
esistenza, ognuna con i propri contrassegni, ognuna con le sue speciali
relazioni. E inoltre, ancora o Sariputto, il
Compiuto con l'occhio celeste, rischiarato,
sopraterreno vede gli esseri sparire e riapparire, volgari e nobili, belli
e non belli, felici ed infelici, ed egli riconosce come gli esseri sempre
secondo le azioni riappaiono: questi, non retti in azioni, parole e
pensieri con la dissoluzione del corpo, dopo la morte, pervengono giu', su
cattivi sentieri, alla perdizione, nel precipizio; quelli, retti in
azioni, pensieri e parole, con la dissoluzione del corpo, dopo la morte,
pervengono su buoni sentieri, in mondo elevato. E inoltre il Compiuto,
estinta la manìa, ancora durante la vita ha reso a se' palese, realizzato
e conquistato la redenzione dell'animo.
Queste sono, o Sariputto, le dieci virtu' che spettano
al Compiuto.
Quattro specie di sicurezza vi sono che spettano al
Compiuto, che chichessia non potrebbe obiettarmi perche' false, e che
percio' mi lascerebbero tranquillo, imperturbato, sicuro, e sono:
Perfetto Svegliato, tu ti chiami, e' vero, ma queste
cose non le hai riconosciute; esausto di manìa tu ti chiami, e' vero, ma
tale manìa non e' estinta; cio' che tu indichi come dannoso, cio' a chi lo
fa non riesce dannoso; e se anche tu esponi la tua dottrina con una certa
intenzione, pure essa non giunge a dare a chi riflette totale
annientamento del dolore.
Chi, ora, o Sariputto, in tal modo parlasse: l'asceta
Gotamo non possiede il sopraterreno, ricco santuario della chiarezza del
sapere; l'asceta Gotamo proclama una sottile, intricata dottrina, che egli
stesso ha ideata ed escogitata, chi non si pentisse di parlare cosi' e non
rinunciasse a tale opinione, costui potrebbe, per suo stesso volere,
rovinare per mala via.
Otto adunanze, vi sono, o Sariputto: quella dei nobili,
dei sacerdoti, dei borghesi, degli asceti, degli dei delle quattro
regioni, dei trentatre' dei, degli dei naturali e degli dei celesti.
Ebbene il Compiuto, cinto di quella quadrupla sicurezza si reca alle otto
adunanze. Ed io ricordo di essere stato tra molte centinaia di nobili;
innanzi a me essi sedevano, ed io parlavo con essi e noi scambiavamo cosi'
domande e risposte. Che io potessi allora cadere in confusione o
imbarazzo, tale possibilita' o Sariputto, non esiste. Percio' rimango
tranquillo, imperturbato, sicuro. Alla stessa stregua io ricordo di essere
stato tra molte centinaia di sacerdoti, borghesi, asceti e molteplici dei.
Vi sono, o Sariputto, quattro specie di grembi, e sono:
il grembo dell'uovo, dove gli esseri vengono al mondo rompendo il guscio
dell'uovo: il grembo del corpo, dove gli esseri vengono al mondo
fuoriuscendo dall'involucro del corpo; il grembo del fermento dove gli
esseri si formano nel pesce o nella carne o nel cibo putrefatto, o vengono
al mondo in paludi o pantani; e il regno dell'apparizione, dove si
manifestano dei, demoni, alcuni uomini e vari spiriti.
Cinque tracce vi sono, o Sariputto, ed io conosco che
esse sono la falsa via, ovvero il sentiero che mena giu' ed il suo agire,
seguendo i quali si giunge, dopo la morte a perdizione e danno, in luogo
di spasimo e strazio; la generazione animale, l'agire e il sentiero che
mena alla generazione animale; il regno degli spiriti, ed il sentiero e
l'agire che ivi conduce; gli uomini, l'agire ed il sentiero che mena al
mondo degli uomini; gli dei ed il sentiero che mena al loro mondo di gioia
celeste.
E l'estinzione, io conosco, ed il sentiero e l'agire
che mena all'estinzione, seguendo i quali, dopo l'estinguersi della manìa,
ancora durante la vita, si rende palese, si realizza, si conquista e si
possiede la redenzione dell'animo senza manìa, redenzione di saggezza:
anche questa via io conosco. Queste sono le cinque tracce.
E inoltre, o Sariputto, io ricordo i tempi delle
quattro ascesi da me esercitate: ascesi fervente, orrenda, afflitta,
solinga.
Cosi' ho praticato il fervore: io ero un ignudo, uno
svincolato, un flagellante, uno che non arriva, che non aspetta; non
accettavo offerta, non favore, non invito; nel ricevere l'elemosina, non
spiavo verso la pentola, non verso il piatto, non sopra la soglia, non
sopra la grata, non dentro il caldaio; non prendevo da chi mangia a due,
non da una incinta, non da una lattante, non da una che viene dall'uomo,
non da insudiciati, non dove sta presso un cane, non dove ronzano mosche;
non mangiavo pesce, non carne; non bevevo vino, non liquore, non succo
d'avena fermentata. Io andavo ad una casa e mi contentavo con una manciata
di elemosina; andavo a due case e mi contentavo di due manciate; andavo a
sette case e mi contentavo di sette manciate d'elemosina. Io sostentavo la
mia vita con l'elemosina di una sola largitrice, di solo due largitrici,
di solo sette largitrici. Io mi cibavo solo una volta al giorno, solo ogni
due giorni, solo ogni sette giorni. Cambiando in questo modo, io osservavo
rigorosamente questo esercizio di digiuno fino a mezzo mese.
Ed io vivevo di erbe e di funghi, di riso e grani
selvaggi, di semi e noccioli, di latte di piante e resina d'alberi, di
gramigne, di sterco di bue; mi sostentavo di radici e frutti del bosco;
vivevo di frutti caduti.
Ed io portavo la tunica di canapa, di crini, una veste
rattoppata di pezze raccolte al cimitero o sulla strada; mi avvolgevo in
stracci, in pezzi di pelle, di cuoio; mi cingevo con trecce di gramigna,
di scorza, con trecce di foglie; nascondevo le nudita' sotto grembiali di
crini, di setole, sotto un'ala di civetta.
Ed io mi strappai i peli del capo e della barba,
seguendo la regola di coloro che cosi' fanno; fui un sempre alzato,
rigettai sedile e giaciglio; fui un sedente sui calcagni; fui uno di
quelli che si coricano sulle spine; scesi per tre volte ogni sera nel
bagno di penitenza. E questo e' stato il mio fervore.
E cosi' o Sariputto, ho poi curato l'orridezza: io
lasciavo accumulare sul corpo la sporcizia e la polvere di molti anni,
fino a cadersene, come sul tronco dell'ebano si addensa la polvere di anno
in anno fino a cadersene. E non mi veniva nessun pensiero di questo
genere: ' ah, potessi finalmente tergermi da questa polvere e sporcizia, o
potessero farlo altri!'. E questa e' stata la mia orridezza.
E cosi' o Sariputto, ho poi coltivato afflizione: ogni
mio passo era guidato da chiara coscienza, e perfino una goccia d'acqua
muoveva in me la compassione: ' ah, che io non apporti danno ai piccoli
esseri perduti!'.
E cosi', Sariputto, ho appreso la solitudine: io mi
addentravo in qualche bosco e vi dimoravo; ma se scorgevo un mandriano o
un pastore, un cercatore d'erbe o legnaiolo o raccoglitore di fascine,
allora fuggivo di foresta in foresta, di selva in selva, di valle in
valle, di monte in monte, perche' quelli non dovevano vedermi ed io non
volevo vedere loro: alla stessa stregua di una fiera del bosco che abbia
visto uomini. E questa e' stata la mia solitudine.
Ed io poi, Sariputto, quando i mandriani erano via,
scendevo alle mandre, alle vacche attaccate e raccoglievo, camminando
carponi, lo sterco dei giovani vitelli lattanti, e mi nutrivo di cio'. E
cio' che ne rimaneva indigerito, come mio proprio escremento o urina,
anche quello io prendevo. E questo, Sariputto, e' stato il mio grande
calice di feccia.
Ed io mi sono poi recato in un'altra orrenda selva a
dimorarvi. In quella spaventosa solitudine, regnava tale orrore, che ad
ogni non santificato viandante subito si rizzavano i capelli. E durante le
fredde, glaciali notti d'inverno, al tempo del gelo, io mi trattenevo di
notte in una radura, e di giorno nel folto del bosco. E mi si presento'
allora questa spontanea strofa, mai prima sentita:
Al sole avvampa e intirizzisce al gelo un eremita in
tant'orrenda selva spirando ed inspirando via via, ignudo, solo, senza
focolare.
Ed io passai poi oltre, ad un cimitero, e mi distesi
sopra un mucchio d'ossa imputridite. Ed allora vennero figli di pecorai
che mi sputarono, mi bagnarono e mi lordarono di sporcizia e mi
introdussero erbe aguzze nelle orecchie. Eppure io non ricordo che in me
fosse sorto un cattivo pensiero contro di essi. E questa, Sariputto, e'
stata la mia equanimita'.
Parecchi asceti e brahmani dicono e insegnano: il
nutrimento purifica, ed ammoniscono: viviamo di giuggiole. E consumano
giuggiole, mangiano conserva di giuggiole, bevono succo di giuggiole,
gustano ogni sorta di pietanza di giuggiole. Io ricordo di aver mangiato
solo una giuggiola come nutrimento quotidiano. Tu forse pensi, o Sariputto,
che a quel tempo le giuggiole fossero piu' grosse di quelle odierne, ma
cosi' non e'. E mentre io prendevo solo una giuggiola come nutrimento
quotidiano, il mio corpo divenne straordinariamente magro.
Parecchi asceti e brahmani dicono e insegnano: il
nutrimento purifica, ed ammoniscono: viviamo di fave; viviamo di sesamo;
viviamo di riso. Ed essi consumano riso, mangiano zuppa di riso, bevono
acqua di riso, gustano ogni sorta di pietanza di riso. Io ricordo di aver
mangiato solo un grano di riso come nutrimento quotidiano, e cosi' il mio
corpo divenne straordinariamente magro.
Le mie braccia e le gambe divennero come canne secche,
appassite, per questo nutrimento estremamente scarso; il mio sedere
divenne come un piede di cammello, la mia spina dorsale con le vertebre
sporgenti divenne come un rosario; come le travi del tetto d'una vecchia
casa sporgono, cosi' sporgevano le mie costole; come in una profonda
fontana i sottostanti specchi d'acqua rilucono evanescentemente piccoli,
cosi' rilucevano nelle mie orbite le infossate pupille; come una zucca
selvaggia, tagliata fresca, al caldo diviene vuota e grinzosa, cosi'
divenne la mia pelle del capo vuota e grinzosa. E quand'io volevo toccare
il ventre, giungevo alla spina dorsale, e quando volevo toccare la spina
dorsale, giungevo di nuovo al ventre. E se io volevo svuotare feci e urina
cadevo innanzi; per rinforzare allora questo corpo, io strofinavo con la
mano le membra: e mentre cosi' facevo se ne cadevano i peli, putridi alle
radici.
E anche questa via, questa disciplina, questa dura
ascesi, non mi porto' piu' vicino al sopraterreno, ricco santuario della
chiarezza del sapere; questo perche' io non avevo ancora conquistato
quella saggezza la cui conquista da' a chi riflette totale annientamento
del dolore.
Parecchi asceti e brahmani dicono e insegnano: il giro
purifica; eppure non e' affatto gradevole il girare: ed io in questo lungo
cammino in nessun altro luogo l'ho trovato tale se non presso i puri dei.
Ma se anche io dovessi rigirare tra i puri dei, non vorrei tornare a
questo mondo.
Parecchi asceti e brahmani dicon e insegnano: la
nascita purifica; eppure non e' affatto gradevole la nascita: ed io in
questo lungo cammino in nessun altro luogo l'ho trovata tale se non presso
i puri dei. Ma se anche io dovessi rinascere tra i puri dei, non vorrei
tornare a questo mondo.
Parecchi asceti e brahmani dicono e insegnano: la vita
purifica; oppure:la beneficenza purifica; oppure: il sacrificio del fuoco
purifica. Eppure non e' affatto gradevole la vita; ed io in questo lungo
cammino in nessun luogo l'ho trovata tale se non presso i puri dei. Ma se
anche dovessi rivivere tra i puri dei, non vorrei tornare a questo mondo.
E non e' affatto facile la beneficenza: ed io in questo lungo cammino non
ho potuto farla se non come re guerriero o potente brahmano. E non e'
affatto facile il sacrificio del fuoco; ed io in questo lungo cammino non
ho potuto offrirlo se non come re guerriero o potente brahmano.
Parecchi asceti e brahmani dicono e insegnano: Fintanto
che questo caro uomo e' giovane e forte, splendente di capelli neri, nel
godimento ella felice giovinezza, nella prima eta' virile, egli possiede
anche le piu' alte forze dello spirito. Ma quando quest' uomo e' divenuto
vecchio e grigio, grave d'anni, vicino alla fine, vissuto, un ottantenne o
novantenne, o centenario, allora si dileguano da lui quelle forze dello
spirito. Eppure cio' o Sariputto, non e' in tutti i casi esatto. Io sono
gia' ora divenuto vecchio e grigio, e grave d'anni, vicino alla fine,
vissuto, sono nell'ottantesimo anno. Cosi' come un nervoso arciere
ammaestrato e provetto, potrebbe con facilita' lanciare una freccia
leggera al di sopra di una palma, cosi' potrebbero fare quattro eventuali
miei discepoli che fossero sempre sensibili, virtuosi, forti, e dotati
delle piu' alte forze dello spirito. Ed essi mi ponessero domande su
domande, come sui quattro pilastri del sapere, ed io rispondessi loro
fornendo spiegazioni. Inespletata rimarrebbe la testimonianza e
l'indicazione del Compiuto sulla verita', perche' anche quei quattro
eventuali discepoli diverrebbero a loro volta vecchi di cent'anni, morendo
poi in seguito. E quando voi mi porterete sul letto, o Sariputto, la forza
di spirito del Compiuto sara' immutata.
Chiunque di me a buon diritto puo' dire: un essere
senza vanita' e' apparso nel mondo, pel bene di molti, per la salute di
molti, per compassione del mondo, per utile, bene e salute degli dei e
degli uomini.
Ora durante questo tempo l'onorevole Nagasamalo era
stato dietro il Sublime sventolandogli aria fresca e si rivolse al Sublime
cosi': e' mirabile, o Signore, straordinario, che io, mentre ascoltavo
questa esposizione, mi sono sentito rabbrividire; come deve chiamarsi,
Signore, questo discorso? Orsu', dunque, Nagasamalo, serbalo allora sotto
il nome di discorso del rabbrividire.
Cosi' parlo' il Sublime. Contento si rallegro'
l'onorevole Nagasamalo della parola del Sublime.
Mahâdukkhakkhandha Sutta
Il tronco del dolore
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nella
Selva del Vincitore, nel giardino di Anâtapindiko. Ora, un giorno molti
monaci, preparatisi per tempo, provvisti di mantello e scodella, si
avviarono verso la città, per l'elemosina. Ma essi pensarono: 'È ancora
troppo presto per andare in città a elemosinare; non sarebbe meglio se ora
visitassimo il giardino dei pellegrini d'altro orientamento?' E così fu
fatto ed essi scambiarono con gli altri cortesi saluti e amichevoli,
notevoli parole e si sedettero da una parte. E i pellegrini d'altro
orientamento, rivolgendosi ai monaci, dissero: "L'asceta Gotamo, fratelli,
esamina la brama dalle fondamenta, lo facciamo anche noi; egli esamina
dalle fondamenta anche il corpo e il sentimento: quale limitazione, quale
distinzione e differenza esiste dunque tra l'asceta Gotamo e noi, sia
riguardo all'esposizione come ai precetti?"
Ma i monaci, a queste parole dei pellegrini, senza
rallegrarsi e senza provare fastidio, si alzarono e se ne andarono,
dicendo: "Dal Sublime intenderemo il senso di queste parole".
Ed essi andarono a Sâvatthî, passarono di casa in casa
per elemosinare il cibo, tornarono indietro, si cibarono e si recarono dal
Sublime. Là giunti, essi lo salutarono rispettosamente e si sedettero
accanto a lui raccontando ciò che era loro accaduto e riferendo ciò che
era stato loro chiesto dai pellegrini d'altro orientamento.
E il Buddha replicò: "A queste parole dei pellegrini
bisognava rispondere:
'Cos'è dunque la soddisfazione, la miseria e il
superamento della brama? Cos'è la soddisfazione, la miseria e il
superamento del corpo e del sentimento?' Se li aveste interrogati così,
quei pellegrini non avrebbero trovato una risposta soddisfacente,
sarebbero anzi stati imbarazzati. Perché? Perché ciò è qualcosa che non
sanno interpretare. Non vedo nessuno, monaci, nel mondo con i suoi dèi, i
suoi cattivi e buoni spiriti, con le sue schiere di asceti e brâmani, dèi
e uomini, che possa, spiegando queste domande, guadagnare il cuore della
questione, eccetto il Compiuto, o un suo discepolo, e quelli che qui lo
ascoltano.
Cos'è ora, monaci, la soddisfazione della brama? Vi
sono cinque facoltà di bramare: quali? Le forme che tramite la vista
penetrano nella coscienza, forme desiderate, amate, appaganti, gradite,
corrispondenti ai desideri, eccitanti; i suoni, gli odori, i sapori, i
contatti anch'essi e tramite essi penetranti nella coscienza, desiderati,
amati, appaganti, graditi, corrispondenti ai desideri, eccitanti. Ecco,
monaci, le cinque facoltà di bramare. Ciò che vi è di desiderabile e
gradito, adatto a queste cinque facoltà di bramare, è la soddisfazione
della brama.
E cos'è la miseria della brama? Un figlio di buona
famiglia si mantiene con un'attività come scrivano, contabile o
amministratore; come agricoltore o mercante o allevatore di bestiame; come
soldato o ministro del re, o in qualsiasi altro modo. È esposto al caldo,
al freddo; deve sopportare sole e vento, dibattersi tra zanzare, vespe e
rettili; patisce fame e sete. Ma ciò è miseria della brama, è il palese
tronco del dolore, originato da brama, intessuto di brama, mantenuto da
brama e determinato da brama.
Se questo figlio di famiglia che così si affatica, si
danna e si martirizza, non acquista ricchezza, allora egli diventa
accorato e triste, si lagna, piangendo si percuote il petto, cade nella
disperazione: 'Vano, ahimè, è il mio sforzo, la mia fatica non ha scopo!'
Ma ciò, monaci, è miseria della brama, è il palese tronco del dolore,
originato, intessuto, mantenuto da brama e determinato da brama.
Se invece questo figlio di famiglia si arricchisce,
allora lo rode ansiosa cura per la conservazione della ricchezza: 'Purché
i miei beni non mi vengano confiscati dal re, o rubati dai briganti, o
divorati dalla fiamme, o spazzati via dall'acqua, o strappati da parenti
ostili!' E mentre guarda e custodisce i suoi beni essi gli vengono
sottratti proprio da ciò che temeva.
Allora egli diventa accorato e triste, si lamenta, si
batte il petto piangendo, si dispera: 'Quello che possedevo non l'ho più!'
Ma ciò, monaci, è miseria della brama, è il palese tronco del dolore,
originato, intessuto, mantenuto da brama e determinato da brama.
E inoltre, monaci, mossi da brama, incitati, spinti da
brama, appunto soloper brama re contendono con re, principi con i
principi, sacerdoti con sacerdoti, cittadini con cittadini; la madre
litiga col figlio, il figlio con la madre, il padre col figlio, il figlio
col padre; litiga il fratello col fratello, il fratello con la sorella, la
sorella col fratello, l'amico con l'amico. Caduti così in discordia, lite
e contesa, essi si scagliano l' uno sull'altro coi pugni, con pietre,
bastoni e spade. E così si affrettano incontro alla morte o a dolore
mortale. Ma ciò, monaci, è miseria della brama, è il palese tronco del
dolore, originato, intessuto, mantenuto da brama e determinato da brama.
E inoltre ancora, monaci, mossi da brama, incitati,
spinti da brama, solo per brama essi si precipitano, impugnando scudo e
spada, cinti di faretra ed arco, dai due lati dello schieramento di
battaglia, e le frecce fischiano, le lance ondeggiano e le spade
lampeggiano. Ed essi si trafiggono con frecce, con lance; si spaccano le
teste con le spade, si rovesciano addosso sabbia rovente, scaraventano
blocchi che schiacciano. E così si affrettano incontro alla morte o a
mortale dolore. Ma ciò, monaci, è miseria della brama, è il palese tronco
del dolore, originato, intessuto, mantenuto da brama e determinato da
brama.
E ancora, monaci, mossi da brama, incitati, spinti da
brama, solo per brama essi irrompono nelle case, rapiscono i cari degli
altri, rubano, ingannano, seducono spose. E i re fanno arrestare costoro e
li condannano a pene e tormenti come: percosse con fruste, con bastoni,
con verghe; amputazioni della mano, del piede o di entrambi; amputazione
delle orecchie, del naso o di entrambi; tormenti come il caldaio di pasta,
il raschiamento con le conchiglie, la bocca di drago, la corona di pece,
la mano a fiaccola; correre sugli aculei, giacere su scorze, la veste di
setole; la carne da amo, il pezzo di moneta, la corrosione con liscivia;
il rullo, il graticcio di paglia; l'irrigazione con olio bollente, lo
sbranamento coi cani, l' impalamento, la decapitazione. E così si
affrettano incontro alla morte o a mortale dolore. Ma ciò, monaci, è
miseria della brama, è il palese tronco del dolore, originato, intessuto,
mantenuto da brama e determinato da brama.
E, sempre a causa della brama essi procedono sulla
cattiva strada con azioni, parole, e pensieri; in tal modo essi pervengono
con la dissoluzione del corpo, dopo la morte, giù, su cattivi sentieri a
perdersi e dannarsi.
E cos'è il superamento della brama? Rinnegare la
volontà e il desiderio di brama, annientare la volontà e il desiderio di
brama, ciò è il superamento della brama.
Ma che asceti o brâmani che non conoscono, conforme a
verità, il soddisfare, la miseria e il superamento della brama, non è
possibile che comprendano la brama o guidino un altro a farlo. Mentre voi,
monaci, che conoscete, conforme a verità, la brama, potete farlo.
Cos'è, ora, monaci, la soddisfazione del corpo? Per
esempio una figlia di principi, o una vergine brâmana, o una fanciulla
borghese, nel fiore dei quindici o sedici anni, non troppo alta né troppo
piccola, non troppo sottile né troppo piena, non troppo scura né troppo
chiara: non appare di una splendente bellezza nel momento della sua
massima magnificenza?
"Certamente, Signore!"
Ciò che scaturisce di desiderabile e gradito da questa
splendente bellezza, è soddisfazione del corpo.
Ma cos'è la miseria del corpo? Si veda pure questa
stessa sorella in altro tempo, nell'ottantesimo, novantesimo o centesimo
anno d'età, curva, affranta, consunta, trascinarsi tremolante, appoggiata
alle grucce, macilenta, appassita, sdentata, le ciocche imbiancate o il
capo calvo, vacillante, aggrinzito, la pelle piena di macchie: cosa ne
pensate, monaci?
È sparita quella che era un dì una splendida bellezza,
ed è divenuta evidente miseria?
"Certo, Signore!"
Ciò è miseria del corpo. E ancora: osservate questa
sorella inferma, sofferente, gravemente ammalata, giacere sporca di feci e
di urina, da altri sollevata, da altri accudita: cosa ne pensate, monaci?
È sparita quella che era un dì una splendida bellezza, ed è divenuta
evidente miseria?
" È così, Signore!"
Anche ciò è miseria del corpo. Immaginate ancora questa
sorella, il corpo al cimitero, uno, due, tre giorni dopo la morte, gonfio,
annerito, imputridito: cosa ne pensate? È sparita quella che era un dì una
splendida bellezza, ed è divenuta evidente miseria?
"Così è, Signore!"
E inoltre ancora: immaginate, monaci, il suo corpo a
cimitero, straziato da cornacchie, corvi e avvoltoi, sbranato da cani e
sciacalli, roso da molte specie di vermi.
O ancora: lo scheletro con brani di carne attaccata,
insozzato di sangue, tenuto insieme dai tendini; oppure lo scheletro senza
carne, tenuto insieme dai tendini; oppure le ossa, senza i tendini, sparse
qua e là; qua un osso della mano, là un osso del piede, qua una tibia, là
un femore, qua un bacino, là vertebre, qua il cranio. E ancora le sue ossa
imbiancate, del colore delle conchiglie; trascorso un anno, le ossa
ammucchiate; le ossa, imputridite, cadute in polvere: cosa ne pensate,
monaci? È sparita quella che era un dì una splendida bellezza, ed è
divenuta evidente miseria?
"Sì, Signore!"
Ciò è miseria del corpo, ma cos'è il superamento del
corpo? Ciò che nel corpo, monaci, è rinnegamento di volontà e desiderio,
annientamento di volontà e desiderio, ciò è superamento del corpo.
Ma asceti o brâmani che non conoscono così, conforme
alla verità, soddisfazione, miseria e superamento del corpo, non è
possibile che capiscano il corpo o possano guidare un altro ad arrivare a
capirlo. Ma voi, monaci, che avete compreso, conforme alla verità, potete
farlo.
Cos'è ora la soddisfazione del sentimento? Un monaco,
lungi da brame, lungi da cose non salutari, in sentita, pensata, nata da
pace beata serenità, raggiunge la prima contemplazione. Egli, a questo
punto, non dipende da sé né da altri, e prova solo un sentimento di
indipendenza. L'indipendenza, io dico, monaci, è la più alta soddisfazione
del sentimento.
Successivamente, monaci, dopo il compimento del sentire
e pensare, un monaco raggiunge la calma interiore, l'unità dell'animo, la
libera beata serenità nata dal raccoglimento, libera dal sentire e
pensare; raggiunge la seconda contemplazione. Egli, a questo punto, non
dipende da sé né da altri, e prova solo un sentimento di indipendenza.
L'indipendenza, io dico, monaci, è la più alta soddisfazione del
sentimento.
E inoltre ancora, monaci: in serena pace se ne sta un
monaco, equanime, savio, chiaro cosciente, e prova nel corpo la felicità
di cui i santi dicono: 'L'equanime savio vive felice'; così egli raggiunge
la terza contemplazione. Quando ciò accade, egli non dipende da sé né da
altri, e prova solo un sentimento di indipendenza. L'indipendenza, io
dico, monaci, è la più alta soddisfazione del sentimento.
E ancora, monaci: dopo il rigetto delle gioie e dei
dolori, dopo l' annientamento della letizia e della tristezza, un monaco
raggiunge l' equanime, savia, perfetta purezza, la quarta contemplazione.
Quando ciò accade, egli non dipende da sé né da altri, e prova solo un
sentimento di indipendenza. L'indipendenza, io dico, monaci, è la più alta
soddisfazione del sentimento.
Cos'è ora miseria del sentimento? Ciò che vi è di un
sentimento caduco, doloroso, mutevole, quello è la miseria del sentimento.
E il superamento del sentimento? Ciò che nel sentimento
è rinnegamentodella volontà e del desiderio, annientamento della volontà e
del desiderio, quello è il superamento del sentimento.Ma non è possibile
che asceti o brâmani che non conoscono, conforme averità, soddisfazione,
miseria e superamento del sentimento, comprendano il sentimento stesso o
guidino un altro a farlo.Invece è possibile che asceti o brâmani i quali
conoscano così, conforme alla verità, tutto ciò, comprendano il sentimento
stesso o guidino un altroa farlo.
Così parlò il Sublime. Contenti si rallegrarono quei
monaci per la Sua parola.
Cûladukkhakkhandha Sutta
Il tronco del dolore
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava nella terra dei Sakki
(Sakyâ), presso Kapilavatthu, nel parco dei fichi. Allora un principe dei
Sakki, Mahânâmo, si recò là dove il Sublime dimorava, lo salutò
rispettosamente si sedette da una parte e parlò così: "Già da lungo tempo
mi pare che la dottrina del Signore sia questa: 'Brama, avversione ed
errore sono turbamento del cuore'. Così io la conosco, ma, ciò malgrado,
il mio cuore si lascia a volte influenzare da motivi di brama, di
avversione e di errore. Mi chiedo, Signore, cosa in me ancora mi domina
per essere così influenzato?"
"Mahânâmo, se così non fosse, tu non vorresti rimanere
nella famiglia, né soddisfare alcuna brama. 'Inappaganti sono le brame,
piene di spasimo, piene di strazio: la miseria prepondera': se il santo
uditore Mahânâmo ha riconosciuto vera questa massima, con perfetta
sapienza, ma non trova fuori dalle brame, fuori da ciò che è dannoso,
nessuna felicità e niente di meglio, allora egli si aggira appunto sempre
intorno alle brame. Ma appena il santo uditore ha riconosciuto vera, con
perfetta sapienza, quella massima, e trova fuori dalle brame, fuori da ciò
che è dannoso, felicità e meglio ancora, allora egli non s'aggira più
intorno alle brame.
Anche io, Mahânâmo, prima del pieno risveglio, quale
Bodhisatta solo al risveglio anelante, avevo riconosciuto conforme a
verità, con perfetta sapienza quella massima, eppure, fuori dalle brame e
dal dannoso, io non trovavo alcuna felicità e niente di meglio; fu così
che mi accorsi di ciò che mi accadeva. Ma appena me ne accorsi ed ebbi
riconosciuto la verità di quella massima, con perfetta sapienza, e trovai
felicità fuori da ciò che è dannoso, mi accorsi che le brame non erano più
un'attrattiva.
Ma cos'è l'appagamento delle brame? Vi sono cinque
facoltà di bramare.
Quali? Le forme che penetrano tramite la vista nella
coscienza; i suoni che penetrano attraverso l'udito nella coscienza; gli
odori che penetrano tramite il naso nella coscienza; i sapori che
penetrano tramite la lingua nella coscienza; i contatti che penetrano
tramite il tatto nella coscienza, tutti desiderati, amati, appaganti,
graditi, adatti alle brame, eccitanti; sono queste le cinque facoltà del
bramare. Ciò che riesce desiderabile e gradito per queste cinque facoltà è
appagamento della brame.
E qual è la miseria delle brame? Un figlio di buona
famiglia si mantiene con un incarico: come scrivano, come contabile o
amministratore, come agricoltore, mercante, allevatore di bestiame,
soldato o ministro del re, o con qualsiasi altro servizio. È esposto al
caldo e al freddo, deve sopportare sole e vento, barcamenarsi tra zanzare,
vespe e rettili; patisce fame e sete. Questa è la miseria delle brame.
Se a questo figlio di famiglia che così si affatica, si
tormenta e soffre non viene ricchezza, egli diventa accorato e triste, si
lamenta, si batte piangendo il petto, si dispera: 'Vano, ahimè, è il mio
sforzo, la mia fatica non ha raggiunto lo scopo!' Anche questo è la
miseria delle brame.
Se invece si arricchisce, allora si preoccupa di
conservare la ricchezza: 'Che i beni non mi siano sequestrati dal re; o
rubati dai briganti, o distrutti dal fuoco, o spazzati via da
un'alluvione, o strappati da parenti ostili!' E, mentre cerca di
amministrare i suoi beni, gli capita proprio ciò che ha temuto. Allora
diventa accorato e triste, si lamenta, piange, si percuote il petto, si
dispera: 'Quello che possedevo non c'è più!' Ecco la miseria delle brame,
ecco l'evidente tronco del dolore originato da brame, intessuto di brame,
mantenuto e determinato proprio da brame.
E inoltre, Mahânâmo, mossi da brame, incitati e spinti
da brame contendono i re con i re, i principi con i principi, sacerdoti
con sacerdoti, cittadini con cittadini; litiga la madre col figlio, il
figlio con la madre, il padre col figlio, il figlio col padre, litiga il
fratello col fratello e con la sorella e viceversa, litiga l'amico con
l'amico. Caduti così in discordia essi si lanciano gli uni contro gli
altri coi pugni, con pietre, bastoni e spade. E così s'affrettano incontro
alla morte o a mortale dolore. Ma ciò, Mahânâmo, è miseria delle brame,
ecco l'evidente tronco del dolore originato da brame, intessuto di brame,
mantenuto e determinato proprio da brame.
E ancora: mossi da brame essi si precipitano impugnando
scudo e spada, cinti di faretra e arco, si schierano sui due lati
dell'ordine di battaglia o sulle fortificazioni, e le frecce fischiano, le
aste ondeggiano, le spade lampeggiano. E si trafiggono con frecce, con
lance; si spaccano le teste con le spade. E così si affrettano incontro
alla morte.
E inoltre: sempre mossi da brame irrompono nelle case,
saccheggiano, rubano, ingannano, violentano spose. E i re li fanno
arrestare e li condannano a pene e tormenti come frustate, bastonate,
vergate; amputazioni di mano, di piede o di entrambi; amputazioni delle
orecchie, del naso o d'entrambi: il caldaio di pasta, il raschiamento con
conchiglie, la bocca di drago; la corona di pece, la mano a fiaccola: il
correre su aculei, il giacere in scorze, la veste di setole; la carne da
amo, il pezzo di moneta, la corrosione con liscivia; il rullo, il
graticcio di paglia; l'irrigazione di olio bollente, lo sbranamento con
cani, impalamento da vivo, la decapitazione. E così s'affrettano incontro
alla morte.
E ancora: mossi da brame essi agiscono male, parlano
male e pensano in modo malvagio, e così facendo, essi pervengono dopo la
morte a perdersi e soffrire. Ma tutto ciò, Mahânâmo, è miseria delle
brame, è l'evidente tronco del dolore originato da brame, intessuto di
brame, mantenuto e determinato proprio da brame."
Una volta, Mahânâmo, io soggiornavo a Râjagaham, sui
pascoli del Picco dell' Avvoltoio. In quel tempo, alle falde del Picco del
Vate, alla Rocca Nera, venivano molti Liberi Fratelli, i Niganthâ della
grande setta dei Jainâ, ed esercitavano l'ascesi sempre ritti, rifiutando
sedili e giacigli: e soffrivano dolorose, pungenti, cocenti sensazioni. E,
una sera, dopo la meditazione io mi recai lì e dissi loro: 'Perché, cari
fratelli, esercitate l'ascesi così, e subite queste dolorose sensazioni?'
Essi mi risposero: 'Il Niganthâ Nâthaputto sa tutto,
comprende tutto, professa illimitata chiarezza di sapere: 'Se vado o sto,
dormo o veglio, ho sempre presente l'intera chiarezza del sapere.' Ed egli
dice: 'Niganthâ!
Voi nel passato vi siete comportati male e ora espiate
ciò con questa amara ascesi di tormenti. Siccome ora controllate azioni,
parole e pensieri, non fate più del male e, estirpando le vecchie ed
evitando nuove errate azioni, non vi sarà più alcun influsso. Non
essendoci influsso, si giunge all'esaurimento delle azioni e, di
conseguenza, all'esaurimento del dolore e, di qui, all'esaurimento della
sensazione. Con l'esaurimento della sensazione ogni dolore sarà superato.'
Questo che ci dice, ci sembra chiaro, e noi lo
approviamo e ne siamo soddisfatti'.
Io replicai: 'Allora, cari fratelli voi sapete se siete
già esistiti o no?'
'Noi non lo sappiamo, fratello'.
'Allora sapete se nel passato avete fatto male o siete
rimasti senza nuocere?'
'Noi non lo sappiamo, fratello'.
'Allora sapete quali male azioni avete commesso?'
'Noi non lo sappiamo, fratello'.
'Sapete forse se una parte del dolore è superata, e se
un'altra parte resta da superare; ma se è superato un pezzo del dolore si
potrà superare tutto il dolore?'
'Noi non lo sappiamo, fratello'.
'Sapete forse come, ancora in questa vita, si possa
abbandonare il falso e guadagnare il bene?'
'Noi non lo sappiamo, fratello'.
'Allora se non sapete tutte queste cose, cari fratelli,
c'è il rischio che banditi, uomini sanguinari e delinquenti nati entrino
tra di voi.'
'Fratello Gotamo, non si può acquistare gioia con
gioia: con dolore si può acquistare gioia. Se fosse possibile acquistare
gioia con gioia, il re del Magadhâ, Seniyo Bimbisâro, potrebbe acquistare
gioia perché lui sta meglio del mendicante Gotamo'.
'Senza dubbio adesso gli onorevoli Niganthâ hanno
parlato prematuramente e inconsideratamente, perché ora devo chiedervi:
'Chi dei due sta meglio, il re del Magadhâ o il mendicante Gotamo?' '
'Forse, fratello Gotamo, è come dici, ma lasciamo
perdere. Ti preghiamo di rispondere alla tua stessa domanda.'
'Invece adesso voi dovete rispondere a questa domanda
secondo il vostro parere: può il re del Magadhâ, senza muoversi, senza
dire una parola, sentirsi perfettamente bene per sette giorni e sette
notti?'
'No, fratello, non può'.
'Può farlo per sei, cinque, quattro tre, due o per un
solo giorno?'
'Egli non può, fratello.'
'Io però, senza muovermi, senza dir parola, posso
sentirmi perfettamente non solo per un giorno e una notte, ma addirittura
per sette giorni e sette notti. Che pensate, fratelli: sta meglio il re
del Magadhâ o io?'
'Allora infatti l'onorevole Gotamo sta meglio del re
del Magadhâ.'
Così parlò il Sublime. Contento si rallegrò Mahânâmo
dei Sakki della sua parola.
Anumâna Sutta
La misura
Questo ho sentito.
Una volta l'onorevole Mahâmoggallâno soggiornava nel
territorio di Bhaggâ, presso la città Sumsumâragiram, nel parco da
selvaggina della selva Bhesakalâ. E l'onorevole Mahâmoggallâno così si
rivolse ai monaci:
"Se un monaco chiede di essere ammonito perché ne ha
bisogno, e con lui ci si trova male, e gli trovano delle manchevolezze,
gli si riconoscono dei difetti; ed egli diventa impaziente e non accetta
la lezione correttamente, allora i fratelli dell'ordine possono ritenerlo
a stento meritevole di ammonizione, di ammaestramento, possono
considerarlo non degno d'essere trattato con familiarità.
Ma quali cose si dimostrano sfavorevoli? Un monaco è
maligno ed è da ciò motivato, quella è una cosa sfavorevole. Oppure un
monaco fa il superbo e ingiuria il prossimo; o è un collerico divorato
dall'ira; o è iracondo e astioso; o iracondo e bestemmiatore; o si esprime
con parole irose. Tutte queste sono cose sfavorevoli. E inoltre, fratelli:
un monaco ammonito scatta contro l'ammonitore, o lo offende, o lo
contraddice; oppure cambia discorso, si allontana dall'argomento e
manifesta fastidio, avversione e sfiducia: ecco altre cose che sono
sfavorevoli. E ancora: un monaco ad una ammonizione non riconosce d'aver
errato; o è ipocrita e invidioso; o è geloso ed egoista; oppure è astuto e
simulatore; o è ostinato e vano; o si interessa solo di ciò che ha davanti
agli occhi, afferra con ambo le mani e difficilmente si fa distogliere:
ecco ancora altre cose sfavorevoli. Se un monaco non chiede d'essere
ammonito, ma con lui si sta bene, ci sono cose a lui favorevoli, è
paziente ed accoglie la lezione in modo conveniente, allora i fratelli
dell'ordine possono ben ritenerlo meritevole di ammonizione, di
ammaestramento, possono stimare una tale persona degna di familiarità.
Ma quali cose, fratelli, sono favorevoli? Un monaco non
è maligno, non è stimolato da cattivi motivi, questa è una cosa
favorevole. Un monaco non fa il superbo, non ingiuria il prossimo; non è
iracondo né divorato dall'ira; e ancora, non è iracondo né bestemmiatore;
non fa sentire irose parole: queste sono cose favorevoli. E inoltre se è
ammonito non scatta contro l' ammonitore; ammonito, non offende chi
l'ammonisce e non lo contraddice; e non cambia discorso, non rivela
fastidio, avversione e sfiducia: anche queste sono cose favorevoli. E
ancora, ammonito non nega d'aver sbagliato; è libero da ipocrisia e
invidia; è libero da gelosia ed egoismo; è libero da astuzia e
simulazione; è privo di ostinazione e vanità; non prende in considerazione
solo ciò che ha dinnanzi agli occhi, non arraffa con ambo le mani e
facilmente si fa distogliere: ecco altrettante cose favorevoli.
Ora, fratelli, un monaco deve esaminare se stesso in
questo modo: 'Una persona maligna che segue l'impulso di cattivi motivi,
non mi è cara né gradita; ma se io fossi così, anch'io sarei malvisto e
sgradito'. Avendo capito ciò, il monaco deve decidere di non voler essere
maligno né seguire l 'impulso di cattivi motivi. Lo stesso deve fare per
l'insuperbirsi e l' ingiuriare il prossimo; per l'essere iracondo e
divorato dall'ira. Deve decidere di non voler essere iracondo e
bestemmiatore; né iracondo nel parlare. Deve decidere di non ribellarsi a
chi lo ammonisce, di non offenderlo, di non contraddirlo; di non sviare il
discorso saltando da una cosa all'altra, né mostrare fastidio, avversione
e sfiducia. Deve impegnarsi, ad una ammonizione, di non negare d'aver
sbagliato; di non essere ipocrita e invidioso; di non essere geloso ed
egoista; astuto e simulatore; ostinato e vanesio, interessato solo a ciò
che è davanti ai suoi occhi; arraffatore con ambo le mani e difficile da
distogliere. Se non si comportasse così egli sa che si renderebbe
antipatico e sgradito a tutti.
Ora, fratelli, un monaco ha da esaminare se stesso
così: 'Sono forse maligno e seguo l'impulso di cattivi motivi?' Se
riconosce di esserlo egli deve lottare per liberarsi da queste cose
cattive e dannose. E altrettanto deve fare per liberarsi da tutte le altre
cose dannose che sono già state più volte enumerate prima.
Ma, fratelli, se il monaco nel suo esame non può più
trovare in sé nessuna di queste dannose, cattive cose, allora egli ha da
curare giorno e notte questo beata, serena consapevolezza di salute per
mantenersi tale. Così come quasi, fratelli, una donna o un uomo, giovane,
fiorente, avvenente, prova a osservare in uno specchio o in una pura,
limpida, lucida superficie d'acqua l'immagine del proprio volto, e, se in
essa scorge macchia o sporcizia, cerca di eliminarle; ma se non vede
alcuna macchia né sporcizia, se ne rallegra; or così appunto, fratelli, un
monaco che nota in sé tutte queste dannose, cattive cose, lotta per
liberarsene. Ma se il monaco nel suo esame non può trovare più in sé
nessuna di tutte queste dannose, cattive cose, allora egli ha da curare
giorno e notte questo beato, sereno esercizio di salute.
Così parlò l'onorevole Mahâmoggallâno. Contenti si
rallegrarono quei monaci per le sue parole.
Cetokhila Sutta
Le angustie del cuore
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nella
selva del Vincitore, nel giardino di Anâthapindiko. Là egli si rivolse ai
monaci: "Chi di voi, monaci, non ha perduto le cinque angustie del cuore e
non ne ha reciso i cinque vincoli non può certo in quest'Ordine giungere
alla riuscita, alla maturità e allo sviluppo. Quali sono i cinque affanni
del cuore? Un monaco è incerto e dubita del maestro, non ne ha fiducia,
perciò è avverso allo sforzo e alla fatica, non è costante. Ecco la prima
angustia.
Un monaco è incerto e dubita della dottrina, non ne ha
fiducia, ed è avverso allo sforzo e alla fatica, non è costante. Ecco la
seconda angustia. Dubita della comunità, non se ne fida. Ecco la terza.
Dubita della regola. Ecco la quarta. Si secca e si duole dei suoi fratelli
dell'Ordine, è abbattuto e angustiato. Ecco la quinta. Egli, per tutte
queste angustie di cui non s'è liberato, è avverso allo sforzo e alla
fatica, non è costante.
Quali sono i cinque vincoli del cuore? Un monaco con la
volontà non s'è spogliato della brama, del desiderio, dell'avidità,
dell'arsura, della febbre e della sete. L'animo suo è avverso allo sforzo
e alla fatica, non è costante. Lo stesso gli accade nel sentire e nel
vedere. Al pasto ha mangiato tanto da soddisfare il suo stomaco, e si
compiace di sedere, di giacere, di assopirsi nella comodità. Un monaco
conduce una santa vita con l'intenzione di raggiungere qualche rinascita
divina: "Con questi esercizi o voti, mortificazione o rinuncia, voglio
diventare un dio!" Ecco i cinque vincoli che non sono stati recisi.
Ora, chi di voi, monaci, ha perduto le cinque angustie
del cuore e ha nettamente reciso i cinque vincoli del cuore, può in
quest'Ordine ben giungere alla riuscita, alla maturità e allo sviluppo.
Quali sono le cinque angustie che ha perduto? Non
tentenna né dubita del maestro, ne ha fiducia; è incline allo sforzo e
alla fatica, è costante. Non dubita della dottrina, non dubita della
comunità, non dubita della regola, non si secca né si duole dei suoi
fratelli dell'Ordine. E quali i cinque vincoli del cuore che costui ha
reciso? Con la volontà s'è spogliato della brama, del desiderio,
dell'avidità, dell'arsura, della febbre e della sete. Lo stesso è avvenuto
nel sentire, nel vedere, nel nutrirsi e nel compiacersi di comodità nel
sedersi, nel giacere e nell' assopirsi. Inoltre ha condotto una santa vita
senza l'intenzione di rinascere come un dio. Così facendo, col suo animo
incline allo sforzo e alla fatica, costante, ha nettamente reciso tutti i
vincoli del cuore, e può in quest'Ordine ben giungere alla riuscita, alla
maturità e allo sviluppo.
Egli raggiunge il mirabile sentiero prodotto
dall'intensità della costanza e dal raccoglimento della volontà, della
forza, dell'animo, dell'esame e dell' eroismo. E questo monaco, divenuto
quindici volte eroico, monaci, è capace della liberazione, capace del
risveglio, capace di trovare l'incomparabile sicurezza. Così, a una
chioccia che ha ben covato le sue uova, come potrebbe non venire il
desiderio: "Ah, possano i miei pulcini, con le zampe e col becco, rompere
il guscio; possano essi dunque felicemente liberarsi!". E come quei
pulcini che sono divenuti capaci di rompere il guscio e di liberarsi
felicemente, così appunto un monaco, quindici volte eroico, è capace della
liberazione, capace del risveglio, capace di trovare l' incomparabile
sicurezza.
Così parlò il Sublime. Contenti si rallegrarono quei
monaci della sua parola.
Vanapattha Sutta
Solitudine silvestre
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Savatthî, nella
Selva del Vincitore, nel giardino di Anâthapindiko. Là il Sublime si
rivolse ai monaci: "Vi voglio spiegare le specie della solitudine
silvestre; fate attenzione. Un monaco vive in una solitudine silvestre e
lì, ancora privo del sapere, non lo acquista, l'animo distratto non si
raccoglie, l'inesausta mania non si estingue, egli non raggiunge l'
incomparabile sicurezza che ancora non possiede, e ciò di cui un asceta si
serve per vivere: vesti, nutrimento, giaciglio e medicine per le malattie;
stenta a trovarlo. Un monaco deve rendersene conto, deve subito, sia
giorno o notte, lasciare quella solitudine, non rimanere.
Un altro monaco vive in un'altra solitudine e non
acquista il sapere di cui è privo, non trova il raccoglimento dell'animo
distratto, non gli si estingue l'inesausta mania, non raggiunge
l'incomparabile sicurezza che cerca, ma ciò di cui un asceta si serve per
vivere: vesti, nutrimento, giaciglio, e medicine per curarsi; ne ha in
abbondanza. Ed egli riflette:
'Io non ho lasciato la casa per l'eremo in cerca di
vesti, non per il giaciglio, né per le medicine. Eppure, mentre vivo qui
in solitudine, non raggiungo il sapere, l'animo distratto non si
raccoglie, l'inesausta mania non si estingue e non raggiungo
l'incomparabile sicurezza'. Anche questo monaco deve, dopo un po',
lasciare questa solitudine, non rimanere.
Un terzo monaco vive solitario nelle selve, ma acquista
il sapere che gli mancava, riesce a raccogliere l'animo distratto,
estingue l'inesausta mania, raggiunge l'incomparabile sicurezza, ma ciò
che serve a un asceta per vivere: vesti, nutrimento, giaciglio e medicine;
gli perviene in modo stentato. Questo monaco, rendendosi conto di tutto
ciò, deve rimanere in questa solitudine per qualche tempo, non andar via.
Un altro monaco vive nella stessa situazione di
solitudine già detta, acquista sapere, raccoglie l'animo, estingue la
mania, raggiunge la sicurezza e riesce a procurarsi quanto gli serve di
vesti, nutrimento, giaciglio e medicine. Egli allora deve rimanere tutta
la vita in tale solitudine, non andare via.
Un monaco, invece, vive nei dintorni d'un villaggio, o
di una città, o di una residenza, in compagnia di qualcuno, e si rende
conto che non acquista sapere, non si raccoglie, non estingue la mania,
non raggiunge la sicurezza, e ciò che serve a un asceta per vivere lo
trova a stento; deve rendersene conto e deve, di giorno o di notte, senza
neppure accomiatarsi da colui col quale vive, lasciarlo e andarsene, non
rimanere.
Un monaco vive in compagnia di un'altra persona, e
s'accorge che non acquista sapere, non si raccoglie, non estingue la
mania, non raggiunge la sicurezza, e ciò che serve a un asceta per vivere
lo trova in abbondanza, deve rendersene conto, deve allontanarsi da quella
persona, e, senza accomiatarsi, deve andarsene, non rimanere.
Un monaco vive in compagnia di qualche persona e si
accorge che acquista sapere, si raccoglie, estingue la mania, raggiunge la
sicurezza, e ciò che serve a un asceta per vivere lo trova a stento, deve
rendersene conto e deve rimanere per un po' accanto a quella persone, non
andare via.
Un monaco che vive anche lui in compagnia d'un'altra
persona e si accorge che acquista sapere, si raccoglie, estingue la mania,
raggiunge la sicurezza, e ciò che serve a un asceta per vivere lo trova in
abbondanza, deve rimanere per tutta la vita con quella persona, non deve
andar via, se non è mandato via."
Così parlò il Sublime. Contenti si rallegrarono quei
monaci per le sue parole.
Madhupindika Sutta
Il buon boccone
Questo ho sentito.
Un giorno soggiornava il Sublime nella terra dei Sakki,
presso la citta' di Kapilavatthu, nel parco dei fichi. E il sublime, per
tempo approntato, prese mantello e scodella e s'avvio' verso la citta' per
l'elemosina. Dopo che l'ebbe ricevuta, torno' indietro, si cibo', quindi
si reco' nella Grande Selva dove dimoro' sotto un gruppo di alberi di
bilva fino al tramonto.
Ora Dandapani, un principe Sakko, per diporto era
pervenuto nella Grande Selva, ivi incontro' il Sublime al quale parlo'
cosi':
- Cosa conosce ed annunzia l'asceta?
- Che il conoscitore, fratello, per nulla al mondo si
turba, che non pone piu' domanda, ha estirpato ogni disgusto e non brama
piu' ne' esistenza, ne' non esistenza, non aderiscono percezioni: questo
conosco, questo annunzio.
A tali parole il Sakko Dandapani abbasso' il capo, fece
vedere la lingua, sollevo' i sopraccigli con tre rughe nella fronte e,
appoggiato al suo bastone, ando' via di la'.
Ora, quando verso sera il Sublime ebbe finito la
meditazione, si rivolse ai monaci e racconto' loro il dialogo col Sakko
Dandapani. A queste parole si volse uno dei monaci al Sublime e disse:
- E come, o Signore, il Sublime per nulla al mondo si
turba, non aderiscono percezioni, come ha estirpato ogni disgusto e non
brama ne' esistenza ne' non esistenza?
- Se le percezioni di differenza, o monaco, comunque
anche determinate, si presentano secondo la serie all'uomo e non vi
trovano incanto, ne' eco, ne' appoggio, allora e' cio' appunto la fine
degli attaccamenti del piacere, del disgusto, della fede, del dubbio,
della vanita', della sete, dell'ignoranza, dell'infuriare della guerra,
discordia, lite e contesa, menzogna e frode: cosi' queste dannose, cattive
cose, vengono totalmente disciolte.
Cosi' parlo' il Sublime. Dopo queste parole si alzo'
dal suo posto e rientro' nell'eremo.
Allora quei monaci si dissero l'un l'altro: il Sublime,
fratelli, ci ha dato questo insegnamento in breve sunto, senza trattarne
estesamente; chi potrebbe ora trattare estesamente il contenuto di questa
dottrina? E dissero tra di loro': l'onorevole Mahakaccano viene dal Maesro
stimato e dagli intelligenti fratelli dell'Ordine onorato, e sarebbe bene
in grado di trattare estesamente questa dottrina; se ora dunque ci
recassimo dall'onorevole Mahakacanno e lo pregassimo di esporcene il
contenuto?
Quei monaci si recarono dunque dall'onorevole
Mahakaccano e gli esposero il breve sunto del Sublime pregando di esporre
loro il contenuto.
- Cosi' come, o fratelli, se un uomo che cerca legno lo
andasse a cercare nel fogliame di un grande albero, cosi' avete trascurato
il Sublime ed aspettate da me la soluzione del tema. Eppure, fratelli, il
Sublime e' il Conoscitore, il Vate, l'Occhio, divenuto cognizione,
verita', santita', egli e' l'annunziatore, lo scopritore del contenuto, il
largitore dell'immortalita', il signore della verita', il Compiuto. E vi
era anche tempo perche' voi poteste interrogare il Sublime stesso e
serbare questo oggetto conforme alla spiegazione del Sublime.
- E' vero, fratello Kaccano, tuttavia l'onorevole
Mahakaccano e' stimato dal Maestro, onorato dagli intelligenti fratelli
dell'ordine, dunque e' bene il caso che egli esponga estesamente il
contenuto di quella dottrina data in breve dal Sublime.
- Allora dunque, fratelli, ascoltate e fate bene
attenzione. Se le percezioni di differenza, comunque anche determinate, si
presentano in serie all'uomo e non vi trovano incanto, ne' eco, ne'
appoggio, allora cio' e' appunto la fine degli attaccamenti del piacere,
del disgusto, della fede, del dubbio, della vanita', della sete,
dell'ignoranza, allora e' la fine dell'infuriare e versare sangue, guerra,
discordia, lite e contesa, menzogna e frode: cosi' queste cose dannose
vengono totalmente disciolte. Questa dottrina esposta in breve dal
Sublime, io l'espongo estesamente cosi': Mediante la vista e le forme ha
origine la coscienza visiva; la combinazione delle tre origina il
contatto, dal contatto e' determinata la sensazione, quel che si sente si
percepisce, quel che si percepisce si distingue, quel che si distingue si
differenzia, quel che si differenzia, determinato da cio', ci si presenta
in serie come percezioni di differenza nelle forme di tempi passati,
presenti e futuri, che penetrano nella coscienza visiva. Lo stesso per
l'udito, l'olfatto, il gusto, il tatto, il pensiero. Ora, o fratelli, se
non esiste vista, forma e coscienza visiva, non appare il contatto, se non
appare il contatto, non appare la sensazione, se non appare la sensazione
non appare la percezione, se non appare la percezione non appare la
distinzione, allora non appariranno le percezioni di differenza
presentantesi in serie. Lo stesso per udito, olfatto, gusto, tatto,
pensiero. Cio', o monaci, io considero come l'estesa esposizione di quella
dottrina che il Sublime vi ha dato in breve compendio.
Allora quei monaci, rallegrati dal discorso
dell'onorevole Mahakaccano, si recarono dal Sublime e ripeterono cio' che
in tal modo era stato loro esposto dall'onorevole Mahakaccano.
- Sapiente, voi monaci, e forte di scienza e'
Mahakaccano: io stesso avrei spiegato l'oggetto precisamente cosi' ed e'
cosi' che voi dovete serbarlo.
A queste parole l'onorevole Anando si rivolse al
Sublime cosi':
- Cosi' come, o Signore, un uomo abbattuto da fame
debolezza trovasse un buon boccone; se lo godesse, provasse grato gusto e
soddisfazione; alla stessa stregua un monaco che s'e' imposta la sua
educazione spirituale a poco a poco rendendosi familiare col corso di
questa dottrina, puo' ben trovare appagamento e conseguire tranquillita'
di spirito. Che nome, dunque, deve avere il corso di questa dottrina?
- Allora, Anando, serba il corso di questa dottrina col
nome del buon boccone.
Cosi' parlo' il Sublime. Contento si rallegro' Anando
della parola del Sublime
Dvedhâvitakka Sutta
Due specie di deliberazioni
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nella
Selva del Vincitore, nel giardino di Anâthapindiko. Là il Sublime si
rivolse ai monaci: "Una volta, quando ancora non avevo conseguito il pieno
risveglio e, da Bodhisatta, anelavo solo ad esso, mi venne questo
pensiero: 'Se io ora dividessi il mio pensare in due parti contrapposte?'.
E allora divisi da un lato il pensiero dell'insistere, del danneggiare e
dell' infuriare, e dall'altro il pensiero del rinunciare, del non
danneggiare e del non infuriare. Ora, quando in questo sforzo serio,
solerte, impegnativo, mi si presentava il pensiero dell'insistere, del
danneggiare o dell'infuriare, mi dicevo: 'Mi si sono presentati i pensieri
dell'insistere, del danneggiare o dell'infuriare, ma essi limitano se
stessi, limitano altri pensieri, limitano entrambi, distolgono dalla
sapienza, portano turbamento, non conducono all'estinzione, sono
limitanti'. E mentre pensavo ciò l' insistere, il danneggiare e
l'infuriare si dissolvevano.
Ciò che un monaco considera e pondera a lungo,
influenza la mente. Se considera e pondera di insistere, allora ha
ripudiato quella del rinunciare, ha accresciuto la decisione di insistere,
e il suo cuore è influenzato da tale decisione. Lo stesso accade se a
lungo delibera e pondera di danneggiare o di infuriare: il cuore è
influenzato da tali decisioni. Quando un mandriano, nell'ultimo mese della
stagione delle piogge, in autunno, quando la messe è raccolta, raduna le
sue mandrie, sollecita e spinge i buoi qua e là e li porta alle stalle,
perché lo fa? Perché altrimenti il mandriano dovrebbe attendersi
inconvenienti o perdite, disgrazie o danni: allo stesso modo io vidi la
miseria, la bassezza, la sozzura di ciò che è dannoso, e l'utile effetto
di ciò che è salutare nella rinunzia.
Quindi, allorché in questo sforzo serio, solerte,
impegnativo, mi si presentava la decisione di rinunziare, io mi dicevo:
'Ho deciso di rinunziare: ciò non mi limita, non limita gli altri, non
limita nessuno, promuove la sapienza, non porta turbamento, conduce
all'estinzione. Se ora decidessi la rinunzia e la esaminassi di giorno e
di notte, non trovando in essa nulla di temibile, ma continuassi a
considerare ed esaminare a lungo tale decisione, il corpo si stancherebbe,
col corpo stanco il cuore s' infiacchirebbe, e il cuore fiacco non
favorisce il raccoglimento'. Quindi, monaci, io raccoglievo strettamente
il mio cuore, lo placavo, lo riunivo, lo rafforzavo perché non si
indebolisse. Allorché in questo sforzo serio, solerte, impegnativo, mi si
presentava la decisione di non danneggiare, di non infuriare, io pensavo e
facevo le stesse cose.
Ciò che un monaco considera e pondera a lungo,
influenza la mente. Se considera e pondera di rinunziare, allora egli ha
ripudiato la considerazione dell'insistere, ha accresciuto la
considerazione del rinunziare, e il suo cuore è influenzato da tale
decisione. Lo stesso accade per la deliberazione di non danneggiare e di
non infuriare.
Come quando un mandriano, nell'ultimo mese dell'estate,
quando la messe nei campi tutt'intorno è in piena maturazione, deve
guardare le sue mandrie e fare bene attenzione nel bosco come sul prato;
così dovevo fare anch'io bene attenzione alle mie cose. Ferrea era però la
mia forza, inflessibile; presente il sapere, irremovibile; placato il
corpo, impassibile; raccolto l'animo, unificato. E io restavo, monaci,
lontano da brame, lontano da cose non salutari, in sentita, pensante, nata
da pace beata serenità, nella prima contemplazione. Dopo il compimento del
sentire e pensare io raggiunsi con l'interna calma, l 'unità dell'animo,
la beata serenità libera di sentire e pensare, nata dal raccoglimento, la
seconda contemplazione. In serena pace io restavo equanime, savio, chiaro
cosciente, provavo nel corpo la felicità di cui i santi dicono:
'L'equanime savio vive felice'; così raggiunsi la terza contemplazione.
Dopo il rigetto delle gioie e dei dolori, dopo l' annientamento della
letizia e della tristezza di prima, io raggiunsi la non triste, non lieta,
equanime, savia, perfetta purezza, quarta contemplazione.
Con tale animo, saldo, purificato, terso, schietto,
libero da scorie, malleabile, duttile, compatto, incorruttibile, io
indirizzai l'animo alla memore conoscenza di anteriori forme di esistenza.
E mi ricordai di molte diverse anteriori forme di esistenza. Una vita,
due, tre, quattro, cinque vite; dieci vite, venti, trenta, quaranta,
cinquanta vite; poi di cento, mille, centomila vite; poi delle epoche
durante parecchie formazioni e trasformazioni di mondi. 'Là ero io, avevo
quel nome, appartenevo a quella famiglia, quello era il mio stato, quella
la mia attività, provai tale bene e tale male, così finì la mia vita;
trapassato di là, io entrai altrove di nuovo in esistenza: ora ero qua,
avevo questo nome, appartenevo a questa famiglia, questo era il mio stato,
questa la mia attività, provai tale bene e male, così fu la fine della mia
vita; .
Così io mi ricordai di molte diverse anteriori forme
d'esistenza, ognuna coi propri contrassegni, ognuna con le sue speciali
relazioni. Questa prima conoscenza, monaci, io l'avevo conquistata nelle
prime ore della notte, dissipata l'ignoranza, acquistata la conoscenza,
dissipata la tenebra, acquistata la luce, mentre io rimanevo in così
serio, solerte, impegnativo sforzo.
Con tale animo, saldo, purificato, terso, schietto,
libero da scorie, malleabile, duttile, compatto, incorruttibile, io
indirizzai l'animo alla cognizione dello sparire e apparire degli esseri.
Con l'occhio celeste, rischiarato, sopraterreno io vidi gli esseri sparire
e riapparire, volgari e nobili, belli e brutti, felici e infelici; io
riconobbi come gli esseri riappaiono sempre secondo le azioni. 'Questi
cari esseri sono certo non retti in azioni, in parole, in pensieri,
biasimano ciò che è salutare, stimano ciò che è dannoso, fanno ciò che è
dannoso; con la dissoluzione del ;corpo, dopo la morte, essi giungono giù,
su cattivi sentieri, alla perdizione, in un mondo infernale. Quest'altri
esseri però che sono retti in azioni, parole, pensieri, non biasimano ciò
che è salutare, stimano e fanno ciò che è retto; con la dissoluzione del
corpo, dopo la morte, essi pervengono su buoni sentieri, in un mondo
celeste. Ciò vidi io. Questa è la seconda conoscenza che io avevo
conquistata nelle ore mediane della notte, dissipata l'ignoranza,
acquistata la scienza, dissipata la tenebra, acquistata la luce mentre il
mio sforzo continuava.
Con tale animo io indirizzai l'animo alla cognizione
dell'estinguersi della mania. 'Compresi conforme a verità: questo è il
dolore, questa è la sua origine, questo è il suo annientamento e questa è
la via che porta al suo annientamento. Compresi conforme a verità: questa
è la mania, questa la sua origine, questo il suo annientamento e questa la
via che porta al suo annientamento'. Così riconoscendo, così vedendo, il
mio animo fu redento dalle manie del desiderio, dell'esistenza,
dell'errore. Sorse questa conoscenza: 'Nel redento è la redenzione.
Esausta è la vita, compiuta la santità, operata l'opera, non esiste più
questo mondo.' Questa, monaci, è la terza conoscenza che avevo conquistata
nelle ultime ore della notte.
Così come se un grosso branco di selvatici di una
boscosa valle fosse giunto ad un vasto suolo paludoso; e un cert'uomo che
volesse il male dei selvatici, che tramasse contro di essi perdizione e
danno, per questo sbarrasse loro la via sicura, favorevole, giusta da
percorrere, e lasciasse aperta la via sbagliata che conduce alla palude e
là li facesse finire: allora il grosso branco presto sparirebbe, non
potrebbe sopravvivere. Se invece un altro uomo, impietosito per il branco,
che pensasse al suo bene e alla sua salvezza, indicasse la via verso la
salvezza e sbarrasse l'altra via, sprangasse i valichi verso la palude e
allontanasse di là gli animali: allora il branco si salverebbe,
crescerebbe, fiorirebbe e prospererebbe.
Questo che vi ho fatto è un paragone il cui senso è
questo: il vasto suolo paludoso indica il desiderio; il grosso branco di
selvatici indica la comunità dei viventi; l'uomo malvagio indica la natura
maligna; la via errata, monaci, è il contrario dell'ottuplice sentiero
ossia falso sentiero, false conoscenza, intenzione, parola, azione, vita,
falsi sforzo, sapere e raccoglimento. I valichi verso la palude indicano
il piacere della soddisfazione; l'andare verso la palude indica
l'ignoranza. Ma l'uomo pietoso che pensa al bene, alla salvezza, monaci,
indica il Compiuto, il Santo, perfetto Svegliato. E la via sicura che è
favorevole, che porta alla salvezza indica il santo sentiero ottopartito.
E così, monaci, ho indicato la via sicura, favorevole,
lieta da percorrere, ed ho sbarrata la via maligna, ho sprangato i valichi
che portano alla palude, ho impedito l'andare nella palude. Ciò che un
maestro, per amore e simpatia, mosso da compassione, deve ai discepoli,
voi lo avete da me ricevuto. Qui, monaci, vi invitano gli alberi, e là
vuoti eremi. Operate contemplazione, monaci, per non diventare negligenti,
per non dovervene poi pentire: questo è il nostro precetto.
Così parlò il Sublime. Contenti si rallegrarono i
monaci per le sue parole.
Vitakkasanthâna Sutta
Svanire delle deliberazioni
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nella
Selva del Vincitore, nel giardino di Anâthapindiko. Là il Signore si
rivolse agli uomini:
"Chi tende all'alto, monaci, deve di tempo in tempo
tenere presenti cinque specie di idee. Se un monaco concepisce o si
raffigura un'idea, e facendo ciò sorgono in lui deliberazioni nocive e
indegne, immagini di brama, diavversione e di accecamento, allora il
monaco deve passare a un'altra idea, a una immagine degna. Così facendo si
disperdono, si dissolvono le deliberazioni nocive e indegne, le immagini
di brama, di avversione e di accecamento; cosicché l'intimo cuore si
rinsalda, si calma, diviene unito e forte. Così come un abile muratore o
garzone muratore con un cuneo sottilepuò estrarre e espellerne uno grosso,
così un monaco con un'idea degna e valida può scacciarne un'altra nociva e
indegna.
Se nel farlo sorgono ancora in lui deliberazioni nocive
e indegne, immaginidi brama, di avversione e di accecamento, allora egli
deve considerare la miseria di tali deliberazioni indegne, dannose, che
provocano dolore. Nel farlo esse si disperdono, si dissolvono, e il cuore
si rinsalda, si calma, diviene unito e forte. Così come una donna o un
uomo giovani, fiorenti, avvenenti potrebbero spaventarsi se fosse loro
legata al collo una carogna di serpe, di cane o una carogna umana; allo
stesso modo un monaco che nel suo sforzo di elevarsi vedesse sorgere
ancora in lui deliberazioni nocive e indegne, immagini di brama, di
avversione e di accecamento, dovrebbe nel considerarne la miseria, vederle
disperdersi, dissolversi.
Se in costui, mentre considera la miseria di quelle
deliberazioni, sorgono ancora altre considerazioni nocive, indegne,
immagini di brama, avversione e accecamento, egli non deve concedere loro
alcun senso, alcuna attenzione. Nel farlo esse scompaiono, e, avendole
superate il suo cuore si rinsalda, si calma, diventa unito e forte. Così
come un uomo di buona vista che non voglia badare a fenomeni penetranti
nel suo spazio visivo, può chiudere gli occhi o guardare altrove;
altrettanto può un monaco non concedere a quelle considerazioni alcun
senso, alcuna attenzione. Così facendo egli le vedrebbe sparire, e,
avendole superate, il cuore gli si rinsalderebbe, si calmerebbe,
diverrebbe unito e forte.
Se in costui, quantunque egli non conceda a quelle
considerazioni alcun senso, alcuna attenzione, sorgono altre deliberazioni
nocive e indegne, egli deve farle svanire una dopo l'altra, in serie.
Mentre lo fa le deliberazioni si disperdono, si dissolvono. Così come se
un uomo camminasse in fretta e gli venisse il pensiero: ' Perché sto
camminando in fretta? Voglio andare più adagio '. E, mentre va più adagio,
gli venisse il pensiero: ' Ma perché cammino anzitutto? Voglio rimanere
fermo '. E, essendo fermo, pensasse: ' Perché sto in piedi? Mi siederò '.
E, essendo seduto, pensasse: ' Perché dovrei solo sedermi? Mi voglio
distendere '. E se si distendesse egli avrebbe tralasciato i movimenti più
accentuati e avrebbe progressivamente attuato quelli meno accentuati; alo
stesso modo un monaco, se, a dispetto del suo disprezzo e rigetto di
quelle considerazioni, sorgono ancora in lui deliberazioni nocive e
indegne, deve farle sparire una dopo l'altra, in serie.
Se ancora una volta, mentre egli fa svanire una dopo
l'altra quelle deliberazioni, ne sorgono delle altre, egli deve, a denti
stretti e lingua aderente al palato, con la volontà, sottoporre,
comprimere e abbattere l' animo. Mentre lo fa le cattive deliberazioni
scompaiono e, poiché egli le ha superate, si rinsalda l'intimo cuore, si
calma, diviene unito e forte. Se dunque, monaci, in uno di voi, nel
concepire un'idea, nel raffigurarsi un'idea, sorgono deliberazioni nocive
e indegne, immagini di brama, di avversione e di accecamento ed egli passa
ad un'altra immagine degna; se poi egli considera la miseria di quelle
deliberazioni; non concede a quelle deliberazioni alcun senso, alcuna
attenzione; le fa svanire una dopo l' altra; e, a denti strette e lingua
aderente al palato, con la volontà domina l'animo, lo comprime, lo
abbatte, le deliberazioni nocive e indegne, le immagini di brama, di
avversione e di accecamento si disperdono, si dissolvono, e, poiché le ha
superate, si rinsalda l'intimo cuore, si calma, diviene unito e forte.
Costui, monaci, viene chiamato signore sulle specie
delle deliberazioni. Quale deliberazione vuole, quella avrà; quale
deliberazione non vuole, quella non l'avrà. Egli ha spento la sete,
respinto i vincoli, con la completa conquista della mania ha messo fine al
dolore."
Così parlò il Sublime. Contenti si rallegrarono i
monaci della sua parola.
Kakacûpama Sutta
Il paragone della sega
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nella
Selva del Vincitore, nel giardino di Anâthapindiko. Proprio allora
l'onorevole Moliyaphagguno si tratteneva in un momento inopportuno in
compagnia delle monache, e, se qualcuno dei monaci biasimava davanti a lui
quelle monache, egli, indispettito e irritato, reagiva subito con un
rimprovero; e, se, qualcuno dei monaci biasimava l'onorevole
Moliyaphagguno davanti alle monache, esse, ugualmente indispettite e
irritate, reagivano allo stesso modo.
Allora un monaco si recò dal Sublime, lo salutò
riverentemente, si sedette accanto e gli riferì l'accaduto. Il Sublime
allora chiese a un monaco di andare da Moliyaphagguno e di dirgli che
desiderava vederlo. Quando egli giunse, il Sublime gli disse ciò che gli
era stato riferito e gli chiese se era vero. Moliyaphagguno rispose che
sì, era vero.
Il Sublime gli chiese: "Non hai tu dunque, come un
nobile figlio mosso da fiducia, lasciato la casa per l'eremo?" Avendogli
Moliyaphagguno risposto di sì, il Sublime continuò: "Non sta bene che tu
abbia fatto ciò che mi è stato riferito, devi smettere di reagire e devi
ben esercitarti così: 'Non deve l'animo mio essere turbato, nessuna parola
cattiva deve sfuggire dalla mia bocca, voglio rimanere amichevole e
compassionevole, con animo amorevole, senza segreta malizia'. Perciò se
anche qualcuno in tua presenza battesse con pugni quelle monache, tirasse
loro pietre, le battesse con mazze, le colpisse con spade allora tu,
Phagguno, dovrai evitare tutti i moti volgari, tutte le decisioni volgari,
e dovrai esercitarti nel modo che ti ho detto. Lo stesso se qualcuno vuole
biasimarti, e ancora lo stesso se qualcuno ti battesse con pugni, ti
gettasse pietre, ti bastonasse con mazze, ti colpisse con spade."
E ora il Sublime si rivolse ai monaci: "Una volta i
monaci mi venivano incontro con fiducia, e io mi rivolgevo ad essi
dicendo: 'Io prendo solitario pasto, e, così facendo, conservo salute e
freschezza, validità, forza e benessere. Fate anche voi come me, e ne
avrete gli stessi benefici'. E a quei monaci non occorreva altra
esortazione da me, solo il loro sapere era da svegliare. Come se sopra un
buon terreno, all'imbocco di quattro strade, fosse pronto un eccellente
attacco, fornito della relativa frusta; e un maestro dell'arte di guidare,
un esperto auriga, salisse su questo carro, prendesse le redini con la
sinistra, la frusta nella destra, e andasse come gli pare e piace qua o
là: così appunto quei monaci non avevano bisogno di alcuna esortazione da
me: solo il loro sapere era da svegliare. Perciò, monaci, rinnegate il
dannoso, siate costanti in ciò che è salutare, perché così anche voi, in
questo ordine, giungerete alla riuscita, alla maturità e allo sviluppo.
Come se, nelle vicinanze d'un villaggio o d'una città,
vi fosse un fitto bosco pullulante di arbusti di ricino, e uno si
impietosisse degli alberi e si mettesse a prendersene cura: tagliasse i
tronchi curvi e secchi, li portasse via e tenesse netta la selva ben
diboscata, curasse attentamente i tronchi diritti, ben
cresciuti;certamente tale selva giungerebbe alla riuscita, alla maturità e
allo sviluppo: così anche voi, monaci, rinnegate il dannoso, siate
costanti in ciò che è salutare, e riuscirete. Una volta viveva qui in
Sâvatthî un massaia di nome Vedehikâ. Essa, che godeva buona fama d'essere
mite e pacifica, aveva una serva di nome Kâlî che, lesta e diligente,
svolgeva bene le sue diverse faccende. Alla serva venne un dubbio: 'La mia
padrona gode certo di buona fama, ma nasconde solo internamente la sua
bile, o ne è priva? Forse io faccio tutte le mie faccende così bene che la
padrona non può mostrare il brutto carattere che ha? Voglio proprio,
almeno una volta, mettere la mia padrona alla prova!' La serva allora, il
mattino seguente, si alzò a giorno fatto. La padrona le chiese come mai.
La serva rispose che a lei non importava. La massaia, incollerita e
sdegnata, con le sopracciglia corrugate replicò che invece a lei
importava. Ma la serva volle mettere la padrona a più forte prova, e si
alzò ancora più tardi. Vi fu un altro duro scontro verbale. Per vedere
fino a che punto la padrona avrebbe davvero perso la pazienza, Kâlî si
alzò ancora più tardi di prima. La padrona, esasperata, afferrò il paletto
della porta e glielo tirò sulla testa. La serva Kâlî, con la testa rotta,
grondante sangue, corse dai vicini, e gemendo si lamentava: 'Guardate,
brava gente, l'opera della mite, della pacifica; guardate cosa passa una
serva sotto un stimata padrona.' E alla massaia venne ora una brutta fama:
'Violenta è la massaia Vedehikâ, furiosa, manesca è la massaia Vedehikâ!'
Così, monaci, accade che un monaco è dolce, mite e pacifico quando lo
toccano modi di parlare graditi; ma se i modi sono sgraditi deve
ugualmente mostrarsi dolce, mite e pacifico. Io non chiamo mite il monaco
che diviene mite, che guadagna mitezza se gli vengono offerte vesti,
elemosine, giaciglio e, in caso di malattia, medicine, perché non sarebbe
mite se nulla gli fosse offerto. Però un monaco che stima, onora e pregia
la verità, e per questo diviene mite, quello io lo chiamo mite. Così
devono esercitarsi i monaci a sopportare.
Vi sono cinque specie di modi di parlare che le persone
che vi stanno davanti possono usare: tempestivo o intempestivo, sensato o
insensato, civile o villano, conveniente o sconveniente, amorevole o
maligno. Le persone possono parlare in tutti questi modi, quindi voi,
monaci, dovete ben esercitarvi a non esserne turbati, a non lasciar
sfuggire dalla bocca nessuna cattiva parola, a rimanere amichevoli e
compassionevoli, con animo amorevole, senza segreta malizia. E dovete
esercitarvi a irradiare la persona che vi sta davanti con animo amorevole,
e poi, cominciando da quella, a irradiare il mondo intero con animo
amorevole, con animo ampio, profondo, illimitato, privo di rabbia e
rancore. Come se arrivasse un uomo provvisto di zappa e cofano e dicesse
di voler sterrare l'intera terra, e scavasse qua e là, rimuovesse qua e
là, dicendo più volte: 'Senza terra devi tu divenire.' Cosa ne pensate?
Potrebbe forse quell'uomo sterrare la terra?" "Certamente no, Signore! La
terra è ben profonda, immensa, non la si può sterrare per quanto
quell'uomo voglia affaticarsi e darsi da fare." "Così appunto le persone
possono servirsi di cinque modi di parlare [impossibili da eliminare], ma
voi monaci dovete ben esercitarvi nel modo che poc'anzi vi ho indicato.
Come se arrivasse un uomo provvisto di lacca o curcuma,
indaco o carminio, e dicesse: 'Io disegnerò nel cielo delle figure,
dipingerò un quadro'. Vi sembra possibile?" "Certamente no, Signore! Il
cielo è informe, invisibile, non vi si può disegnare una figura, dipingere
un quadro, per quanta fatica e impegno quell'uomo possa metterci."
" Così appunto le persone possono servirsi di cinque
modi di parlare, ma voi monaci dovete ben esercitarvi nel modo che vi ho
già indicato. Come se arrivasse un uomo provvisto di un fascio di paglia
acceso, e dicesse: 'Con questa fascina accesa farò evaporare il Gange,
completamente.' Vi pare che ci riuscirebbe?"
"Certamente no. Il Gange è profondo, smisurato, non ci
riuscirebbe mai. Oppure se vi fosse un mantice di pelle di gatto, ben
conciato, morbido, e arrivasse un uomo con una pietra o un bastone, e
dicesse: 'Riporterò in vita e in forza questa pelle di gatto.' Potrebbe?"
"Certamente no. Con una pietra o un bastone non
potrebbe assolutamente!'
"O ancora, monaci, se briganti e assassini con una sega
da alberi vi staccassero articolazioni e membra, chi per questo provasse
furore non adempirebbe il mio insegnamento. Quindi voi monaci dovete ben
esercitarvi a non essere turbati, a non lasciar sfuggire dalla bocca
nessuna cattiva parola, a rimanere amichevoli e compassionevoli, con animo
amorevole, senza segreta malizia. E dovete esercitarvi a irradiare chi vi
sta davanti, con animo amorevole, e poi, cominciando da quella, a
irradiare il mondo intero con animo amorevole, con animo ampio, profondo,
illimitato, privo di rabbia e rancore. Di questo insegnamento col paragone
della sega vogliate voi spesso ricordarvi. Sapete, monaci, di un modo di
parlare che ora non potreste sopportare?"
"Veramente no, Signore!"
"Perciò, dunque, ricordatevi spesso di questo
insegnamento col paragone della sega: esso vi riuscirà largamente di bene,
di salute."
Così parlò il Sublime. Contenti si rallegrarono i
monaci delle sue parole.
Alagaddupama Sutta
Il paragone del serpe
Questo ho sentito.
Una volta soggiornava il Sublime presso Savatti, nella
selva del Vincitore. In quel tempo un monaco a nome Arittho, gia'
cacciatore di avvoltoi, aveva manifestato la seguente falsa opinione:
- Cosi' intendo io la dottrina annunziata dal Sublime,
che quelle azioni designate dal Sublime come dannose, non riescono
necessariamente a danno di chi le fa.
Ora venne a molti monaci agli orecchi cio' che Arittho
diceva, andarono presso di lui e gli chiesero se era vero che egli avesse
concepito tale falsa opinione. Avutane conferma, quei monaci vollero
distogliere Arittho dalla sua falsa opinione, gli si volsero, gli
parlarono, lo ammaestrarono:
- Non parlare cosi', fratelo Arittho, non correggere il
Sublime, non e' bene correggere il Sublime, non puo' il Sublime aver detto
cio'. In varia guisa, fratello Arittho, vennero spiegate dal Sublime le
azioni dannose, ed esse riescono necessariamente di danno a chi le fa.
Inappaganti sono le brame, ha detto il Sublime, piene di dolore, piene di
spasimo: la miseria prepondera. Ad ossa spolpate ha paragonato il Sublime
le brame: a brani di carne; a paglia infiammata; a carboni accesi; a
visioni di sogno; ad accattonaggio; a frutti d'albero; a tagli di spade; a
punte di lance; simili a fauci di serpi sono le brame, piene di dolore,
piene di spasimo, la miseria prepondera.*
Ma Arittho il monaco, gia' cacciatore di avvoltoi,
sebbene cosi' sollecitato, ammonito ed ammaestrato, si tenne tenacemente
fermo nella sua opinione.
Ora, quando i monaci videro che non potevano
distogliere Arittho dalla sua falsa opinione, si recarono dal Sublime, gli
dissero delle false opinioni di Arittho e di come essi avevano tentato di
distoglierlo. Allora il Sublime disse ad uno dei monaci di chiamare il
fratello Arittho. Quando fu al Suo cospetto, gli parlo' cosi':
- E' vero Arittho, che tu hai concepito tale falsa
opinione: cosi' comprendo io la dottrina annunciata dal Sublime, che
quelle azioni designate dal Sublime come dannose, non riescono
necessariamente di danno a chi le fa?
- Cosi' e' sicuro: io, o Signore, comprendo la dottrina
in questo modo.
- Da chi tu dunque, hai sentito, uomo vano, che io
abbia annunziata una tale dottrina? Non ho io, o uomo vano, in varia guisa
spiegato le azioni dannose, ed esposto che esse riescono necessariamente
di danno a chi le fa?
Ed il Sublime si volse ai monaci:
- Comprendete anche voi, o monaci, l'annunziata
dottrina cosi', come l'intende questo monaco Arittho, che malintesamente
ci corregge e scava a se stesso la fossa e si crea grave danno?
- Non cosi' o Signore! In varia guisa il Sublime ci ha
ben spiegato le azioni dannose ed esposto come esse necessariamente
riescono di danno a chile fa. Inappaganti sono le brame, ha detto il
Sublime, piene di dolore, piene di spasimo: la miseria prepondera.
- Bene, voi monaci, bene che voi comprendiate cosi'
l'annunziata dottrina. Ma vi sono, voi monaci, anche uomini vani che
apprendono la dottrina; quantunque abbiano appreso la dottrina, essi non
ricercano con sapienza il senso della dottrina: per cui le dottrine non
forniscono loro alcun sapere. Essi non imparano le dottrine se non per
poter esprimere su di esse discorsi ed opinioni. Lo scopo, per cui
apprendono le dottrine, essi non lo scorgono. A costoro le male apprese
dottrine riescono largamente di danno e di dolore, perche' essi hanno
afferrato male le dottrine. E' come se, o monaci, un uomo che brama serpi,
esce per serpi, cerca serpi, trovasse un possente serpe e l'afferrasse per
il corpo o la coda: il serpe si scaglierebbe su di lui e lo morderebbe
alla mano, al braccio o in un altro membro, sicche' l'uomo ne patirebbe la
morte o mortale dolore. Ma vi sono, o monaci, anche nobili figli che
apprendono le dottrine e ricercano con pazienza il senso delle dottrine, e
queste forniscono loro il sapere. Essi non imparano le dottrine solo per
poter esprimere su di esse discorsi ed opinioni, ma scorgono lo scopo
delle dottrine che, in questo modo, riescono loro largamente di vantaggio,
di salute, perche' hanno afferrato bene le dottrine. E' come se, o monaci,
un uomo che brama serpi, cerca serpi, esce per serpi, trovasse un possente
serpe e con un bastone forcuto lo abbattesse quindi lo pigliasse stretto
per il collo: anche se il serpe col suo corpo avvinghiasse mano o braccio
od altro membro dell'uomo, non per questo l'uomo avrebbe da temere morte
ne' mortale dolore, perche' egli ha afferrato bene il serpe.
Percio', voi monaci, cio' che voi del senso del mio
discorso intendete, quello serbate fedelmente, ma cio' che non intendete,
quello debbo discuterlo con voi affinche' vi siano monaci bene istruiti.
Come zattera, voi monaci, voglio mostrarvi la dottrina,
atta a salvarsi, non a tenere. Ascoltate e fate bene attenzione.
Cosi' come se un uomo in cammino pervenisse ad una
grande distesa d'acqua, la riva di qua piena di pericoli e paure, la riva
di la' sicura e senza pericoli, e non vi fosse nessuna barca per il
traghetto, nessun ponte. Se quest'uomo pensasse: se io ora raccogliessi
canne e tronchi, foglie e fascine e costruissi una zattera e mediante
questa tragittassi sull'altra riva? E, costruita la zattera, tragittasse
in salvo sull'altra riva e pensasse cosi': carissima mi e' veramente
questa zattera che mi ha portato in salvo sull'altra riva; e se io ora mi
ponessi sul capo questa zattera o me la caricassi sulle spalle, e me ne
andassi dove voglio; che pensate voi di cio', monaci? Quest'uomo con tale
agire tratterebbe forse convenientemente la zattera?
- Certamente no, o Signore!
- Se quest'uomo salvato, tragittato, riflettesse cosi':
carissima mi e' veramente questa zattera che mi ha portato in salvo
sull'altra riva; e se io ora posassi questa zattera sulla riva o la
gettassi nell'onda e me ne andassi dove voglio; con tale agire veramente,
voi monaci, tratterebbe convenientemente la zattera. In questo modo, voi
monaci, io ho esposto la dottrina come zattera, atta a salvarsi, non a
tenere.
Voi che il paragon della zattera bene intendete anche
il giusto, taccio l'ingiusto, lasciare dovete.
- Sei false dottrine, voi monaci, vi sono: l'inesperto
uomo comune dei santi inconsapevole, ignaro, estraneo alla dottrina, dei
nobili inconsapevole ignaro ed estraneo alla dottrina dei nobili,
considera il corpo; la sensazione; la percezione; le distinzioni; cio' che
e' visto, sentito, pensato, riconosciuto, raggiunto, esaminato, ricercato
nello spirito; la dottrina che insegna: cio' e' il mondo, cio' e' l'anima,
cio' diverro' io dopo la mia morte, imperituro, persistente, eterno,
immutabile, eternamente eguale, certo cosi' io rimarro'; di tutte queste
cose egli ritiene: cio' mi appartiene, cio' sono io , cio' e' me stesso.
L'esperto santo uditore pero', voi monaci, di tutte queste cose egli
ritiene: cio' non mi appartiene, cio' non sono io, cio' non e' me stesso.
Considerando cosi' le cose egli non conosce alcun irragionevole tremore. A
queste parole si volse uno dei monaci al Sublime:
- Puo' forse sopravvenire irragionevole tremore per
ragioni esteriori?
- Puo' essere, o monaco, - disse il Sublime - per
esempio, un uomo viene in questo stato d'animo: Io l'ho perduto, ahime',
non lo posseggo piu'! Oh l'avessi io di nuovo! Ah, non l'otterro' mai
piu'! Egli e' triste, affranto, si lagna, si batte gemendo il petto e cade
in disperazione. Cosi' o monaco, sopravviene irragionevole tremore per
ragioni esteriori.
- E puo' forse, o Signore, cessare irragionevole
tremore per ragioni esteriori?
- Puo' essere, o monaco, - disse il Sublime - un uomo
non viene in questo stato d'animo: Io l'ho perduto, ahime' non lo posseggo
piu'! Oh, l'avessi io di nuovo! Ah, non l'otterro' mai piu'! Ed egli non
e' triste, non affranto, non si lagna, non si batte gemendo il petto e non
cade in disperazione. Cosi' o monaco, cessa irragionevole tremore per
ragioni esteriori.
- Ma puo', o Signore, sopravvenire irragionevole
tremore per ragioni interiori?
- Puo' essere, o monaco, - disse il Sublime - per
esempio un uomo crede: cio' e' il mondo, cio' e' l'anima, cio' diverro' io
dopo la mia morte, imperituro, persistente, eterno, immutabile,
eternamente eguale, certo cosi' io rimarro'. Egli sente dal Compiuto o da
un discepolo l'annunzio della dottrina, che distrugge dalle fondamenta
ogni attaccamento e soddisfazione in false dottrine, dogmi e sistemi, che
mena alla distruzione di ogni esistenza, al distacco da ogni attaccamento
alla vita, all'annientamento della sete di vivere, alla fine della manìa,
alla dissoluzione, all'estinzione. Allora egli viene in tale stato
d'animo: Io periro', io finiro', ahime'! non saro' piu'. Egli e' triste,
affranto, si lagna, si batte gemendo il petto e cade in disperazione.
Cosi' o monaco, sopravviene irragionevole tremore per ragioni interiori.
- E puo' forse, o Signore, cessare irragionevole
tremore per ragioni interiori?
- Puo' essere, o monaco, se un uomo crede in false
dottrine, ma poi sente dal Compiuto o da un discepolo l'annunzio della
dottrina che distrugge dalle fondamenta ogni attaccamento e soddisfazione
in false dottrine, e percio' egli non viene in tale stato d'animo: Io
periro', io finiro' ahime'! io non saro' piu'. Ed egli non e' triste, non
affranto, non si lagna, non si batte gemendo il petto, non cade in
disperazione. Cosi', o monaco, cessa irragionevole tremore per ragioni
interiori.
Potete, voi monaci, conseguire un bene, il cui possesso
rimanga imperituro, persistente, eterno, immutabile, eternamente uguale e
costante? Conoscete, voi monaci, un tale bene?
- Veramente no, o Signore!
- Bene, voi monaci, anche io non conosco un tale bene.
Siete voi forse, o monaci, aderenti ad una fede in immortalita', per la
quale il fedele venga redento da affanno, miseria, dolore, strazio e
disperazione?
- Veramente no, o Signore!
- Bene, anche io non conosco una tale fede. Seguite voi
forse una scuola mediante la quale il seguace venga preservato da affanno,
miseria, dolore, strazio e disperazione?
- Veramente no, o Signore!
- Bene, anch'io non conosco una tale scuola. Se l'Io
stesso, voi monaci, esistesse, potrebbe allora anche darsi un: a me
proprio?
- Si, o signore.
- Se il Proprio, voi monaci, esistesse, potrebbe allora
anche darsi un: Me Stesso?
- Certamente, Signore.
- Siccome ne' l'Io, ne' il Proprio puo' veramente e
realmente essere conseguito, che n'e' del dogma che insegna: cio' e' il
mondo, cio' e' l'anima, cio' diverro' io dopo la morte, imperituro,
persistente, eterno, immutabile, eternamente eguale, certo cosi' io
rimarro'; non e' cio' o monaci, una ben maturata dottrina di stolti? Che
pensate, voi monaci, il corpo, la sensazione, la percezione, le
distinzioni, la coscienza, sono mutabili o immutabili?
- Mutabili, Signore.
- Ma cio' che e' mutabile, e' doloroso o piacevole?
- Doloroso, Signore!
- Ma cio' che e' mutabile, doloroso, caduco, si puo' di
esso con diritto dire: cio' mi appartiene, cio' sono io, cio' e' me
stesso?
- Veramente no, o Signore.
Percio' o monaci, tutto cio' che v'e' del corpo, delle
sensazioni, percezioni, distinzioni, coscienza, passate presenti e future,
proprie od estranee, grosse o fini, volgari o nobili, lontane e vicine,
tutte sono da considerarsi, conforme a verita', con perfetta sapienza,
cosi': cio' non mi appartiene, cio' non sono io, cio' non e' me stesso.
Cosi' vedendo, voi monaci, l'esperto santo uditore,
diviene sazio del corpo, della sensazione, della percezione, delle
distinzioni, dell coscienza. Sazio, rinunzia. Con la rinunzia, si redime.
Nel redento e' la redenzione, questa cognizione sorge. Esausta e' la vita,
compiuta la santita', operata l'opera, non esiste piu' questo mondo,
comprende egli allora. Un tale monaco viene allora chiamato Scardinatore,
Colmatore della Fossa, Strappatore della Freccia, Sganciato, Distaccato.
E perche' Scardinatore? Perche' da questo monaco viene
abbattuta l'ignoranza, stroncata dalle radici, fatta simile a ceppo di
palma, cosi' che essa non puo' piu' germinare, ne' svilupparsi.
E perche' Colmatore della Fossa? Perche' da questo
monaco il mutevole mondo delle nascite, gravido d'esistenza, viene
rinnegato, stroncato dalle radici, fatto simile a ceppo di palma, cosi'
che essa non puo' piu' germinare ne' svilupparsi.
E perche' Strappatore della Freccia? Dal monaco la sete
di vivere viene rinnegata, spenta dalle radici, fatta simile a ceppo di
palma, cosi' che essa non puo' piu' germinare ne' svilupparsi.
E perche' Sganciato? Dal monaco i cinque vincoli
vengono rinnegati, stroncati dalle radici, fatti simili a ceppo di palma,
cosi' che essi non possono piu' germinare ne' svilupparsi.
E perche' Distaccato? Dal monaco la vanita' dell'Io
viene rinnegata, stroncata dalle radici, fatta simile a ceppo di palma,
cosi' che essa non possa piu' germinare ne' svilupparsi.
Il monaco cosi' redento d'animo, non ardiscono
avvicinarlo nemmeno gli dei Indra, Brahma e Pajapati: salda e' la
coscienza di questo Compiuto. Infatti gia' in vita io chiamo il Compiuto
intangibile. Me, che cosi' parlo, cosi' insegno, alcuni asceti e brahmani
accusano irragionevolmente, falsamente, futilmente, a torto cosi': Un
distruttore e' l'asceta Gotamo, egli annunzia distruzione, annientamento,
rinnegamento della vera vita. Essi mi accusano di cio' che io non sono:
oggi come prima, voi monaci, io annunzio soltanto una cosa: il dolore e
l'estirpazione del dolore.
Se quindi gli uomini biasimano, condannano, perseguono
ed attaccano il Compiuto, egli non si disgusta, ne' si sdegna, ne' si
abbatte. E se gli uomini valutano, lodano, stimano ed onorano il Compiuto,
egli non si allieta, ne' si allegra o si esalta; allora il Compiuto pensa
cosi': perche' questo e' stato gia' prima pensato, percio' mi fanno essi
qui tali onori.
Percio' o monaci, anche voi dovete comportarvi alla
stessa maniera. Rinunziate, voi monaci, a cio' che non vi appartiene, e
cio' sara' per voi largamente di vantaggio. E cos'e' che non vi
appartiene? Il corpo, la sensazione, la percezione, le distinzioni, la
coscienza; tutte queste non vi appartengono: rinunciatevi; cio' vi
riuscira' largamente di vantaggio, di salute.
Che pensate, voi monaci, se un uomo portasse via,
bruciasse o a suo piacimento o trattasse cio' che in questa selva del
Vincitore e' sparso di erbe e fascine, ramoscelli e foglie, pensereste voi
forse: costui ci porta via, ci brucia, ci tratta a suo piacimento?
- Veramente no, o Signore!
- E perche' no?
- Non e' certo cio' il nostro Io o Proprio!
- Or cosi' appunto, rinunziate a cio' che non vi
appartiene. Cosi', voi monaci, ho esposto e svelato la verita'. E per
coloro che hanno raggiunto lo scopo non vi e' piu' girare; coloro che
hanno spezzato i cinque vincoli si estinguono per non tornare piu' in
questo mondo: coloro che hanno spezzato i tre vincoli, scaricati di brama,
avversione ed errore, torneranno solo una volta e poi porranno fine al
dolore; coloro che sono inclini alla verita', inclini alla dottrina,
questi si affrettano verso il pieno risveglio.
Cosi' parlo' il Sublime. Contenti si rallegrarono quei
monaci sulla parola del Sublime.
* I primi sette paragoni sono estesamente spiegati nel
discorso n. 54
Vammika Sutta
Il formicaio
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nella
Selva del Vincitore, nel giardino di Anâthapindiko. Nello stesso tempo
l'onorevole Kumârakassapo dimorava nella Selva Scura. Quando fu sceso il
crepuscolo, una certa divinità illuminò l'intera Selva Scura col suo
splendore, si avvicinò all'onorevole Kumârakassapo, si sedette in disparte
e gli disse: "Monaco, questo formicaio fuma di notte e fiammeggia di
giorno. Il brâhmano disse: 'Scava, Savio, con arma tagliente'. Il Savio
scavò etrovò un cuneo. Il brâhmano disse: 'Via il cuneo, continua a
scavare Savio.
Il Savio scavò e trovò una bolla, ma il brâhmano lo
incitò a gettarla e a continuare a scavare. La cosa si ripeté quando il
Savio trovò uno dopo l'altro: un bidente, un graticcio, una testuggine,
una scure, un pezzo di carne, un naja. A questo punto il brâhmano disse:
'Ferma, non toccare il naja, rendigli onore!'." La divinità allora disse
all'onorevole monaco: "Ripeti questo enigma al Sublime, ascoltane la
spiegazione e conservala. Non vedo alcuno al mondo, né dèi, né spiriti
cattivi o buoni, né asceti o brâhmani, né uomini che possa chiarirlo se
non il Compiuto, o un suo dottodiscepolo." Detto questo, la divinità
sparì.
Trascorsa la notte, l'onorevole Kumârakassapo si recò
dal Sublime, lo salutò riverentemente, si sedette accanto, gli raccontò
l'accaduto e gli riferì l'elogio della divinità, gli disse l'enigma, e gli
chiese: "Cos'è il formicaio, chi è il brâhmano, chi il Savio, cos'è l'arma
tagliente, cosa sono tutte le altre cose?"
E il Sublime: "Formicaio è il corpo formato dalle
quattro materie principali, generato dai genitori, sviluppato col
nutrimento, soggetto al trapasso, al disfacimento, alla consumazione, alla
dissoluzione, alla distruzione. Il fumare di notte è ciò che il corpo
riflette e pondera, mentre il fiammeggiare di giorno è ciò che esso opera
in azioni, parole e pensieri. Il brâhmano sarei io, il Compiuto, il Santo,
perfetto Svegliato. Il Savio designa il monaco che lotta; l'arma tagliente
è la santa sapienza. Lo scavare indica la costante perseveranza; il cuneo
l'ignoranza. La bolla indica l'ira e la disperazione. Il bidente
rappresenta il dubbio e il graticcio designa i cinque impedimenti:
l'impedimento del desiderio, dell'avversione, dell'accidia, della
superbia, dell'esistenza.. La testuggine indica i cinque elementi
dell'attaccamento alla vita: attaccamento alle forme, alle sensazioni,
alle percezioni, alle distinzioni, alla coscienza. La scure indica le
cinque facoltà di bramare: delle forme penetranti tramite la vista; dei
suoni penetranti tramite l'udito; degli odori penetranti tramite
l'olfatto; dei sapori penetranti tramite il gusto; dei contatti penetranti
tramite il tatto nella coscienza. Il pezzo di carne indica il piacere
della soddisfazione. Il naja indica il monaco che ha estinta la mania.
Questo è il senso: la santa sapienza è conquistata tramite la costante
perseveranza. Superando l'ignoranza, l'ira e la disperazione, il dubbio, i
cinque impedimenti, i cinque attaccamenti alla vita, le cinque facoltà del
bramare, il piacere della soddisfazione, si giunge all'estinzione della
mania. Onore al monaco che lottando ha compiuto l'opera!"
Così parlò il Sublime. Contento si rallegrò l'onorevole
Kumârakassapo della sua parola.
Rathavinita Sutta
Le stazioni di posta
Questo ho sentito.
Una volta soggiornava il Sublime presso Rajagaham nel
parco di bambu', al colle degli scoiattoli. In quel tempo, molti monaci
che avevano passato la stagione delle piogge nella loro patria, si
recarono dal Sublime il quale si volse verso di loro cosi':
- Chi di voi, monaci, si e' ben comportato in patria
cosi': di poco avendo bisogno ha discorso della mancanza di bisogno;
contento, ha discorso della contentezza; ritirato, ha discorso del ritiro;
distaccato dal mondo ha discorso del distacco; perseverando, ha discorso
della costante perseveranza; virtuoso, ha discorso della virtu'; raccolto,
ha discorso della grazia del raccoglimento; savio, ha discorso della
saggezza; redento, ha discorso della redenzione; egli stesso chiaramente
conoscendo la redenzione, un ammaestratore, rischiaratore, annunziatore,
incoraggiatore, animatore, rasserenatore dei fedeli dell'Ordine?
- Un onorevole di nome Punno, o Signore, il figlio
della Mantani, si e' in patria, tra i monaci fedeli dell'Ordine,
comportato cosi'.
In quel frattempo l'onorevole Sariputto aveva preso
posto non lontano dal Sublime; e gli venne il pensiero: Felice e'
l'onorevole Punno Mantaniputto, il cui molto merito intelligenti fratelli
dell'Ordine elogiano innanzi al Maestro, ed il Maestro se ne rallegra. Oh
se anche noi potessimo incontrarci con l'onorevole Putto e intrattenerci
su qualcosa! Ed ora il Sublime si mise in cammino verso Savatthi, dove
prese dimora nella Selva del Vincitore, nel giardino di Anathapindiko.
Allorche' all'onorevole Punno Mantaniputto giunse all'orecchio che il
Sublime dimorava a Savatthi, sollevo' il suo giaciglio, prese mantello e
scodella e si mise in cammino per Savatthi. Giunto che fu dal Sublime
riverentemente si sedette accanto, e a questo Onorevole il Sublime diede
conforto, coraggio, animo e serenita' in isruttivo colloquio. Un monaco
riferi' all'onorevole Sariputto che Punno aveva avuto un colloquio col
Sublime, si reco' da lui, e verso sera, quando ebbe finito la meditazione,
sedette accanto e parlo' all'onorevole Punno cosi':
- Viene dunque menata presso il Sublime santa vita?
- Certamente, fratello.
- E come viene presso il Sublime menata santa vita: a
scopo di pura virtu'?
- Questo no, o fratello.
- Allora a scopo di puro cuore, viene presso il Sublime
menata santa vita?
- Questo no, o fratello.
- Allora a scopo di pura conoscenza?
- Questo no, fatello.
- A scopo di pura sicurezza?
- Questo no, fratello.
- A scopo di pura scienza delle vie?
- Questo no, fratello.
- A scopo di pura scienza del sentiero?
- Questo no, fratello.
- A scopo di pura scienza?
- Questo no, fratello.
- A che scopo allora, o fratello, viene presso il
sublime menata santa vita?
- A scopo di immateriale perfetta estinzione, o
fratello, viene presso il Sublime menata santa vita.
- Come deve dunque, o fratello, essere bene inteso il
senso di questo discorso?
- Se il Sublime, o fratello, avesse indicato pura
virtu', puro cuore, pura conoscenza, pura sicurezza, pura scienza, pura
scienza del sentiero, pura scienza delle vie, come immateriale perfetta
estinzione, allora il Sublime avrebbe indicato cio' che e' materiale come
immateriale perfetta estinzione. Ma se, o fratello, immateriale perfetta
estinzione fosse possibile senza queste cose, allora l'uomo comune
raggiungerebbe la perfetta estinzione: giacche' l'uomo comune, o fratello,
e' senza queste cose. Percio' io, ora voglio proporti un paragone:se un
affare urgente chiamasse a Saketam il re Pasenadi mentre egli risiede a
Savatthi, sarebbero approntate per lui sette stazioni di posta per il
viaggio. Dopo che lui fosse salito sulla prima posta e poi passasse alla
seconda e poi alla terza e cosi' via fino alla settima, e la' giunto
ministri e consiglieri gli chiedessero: e' con questa posta che il gran re
e' giunto da Savatthi? Egli dovrebbe rispondere: io salii sulla pima
posta, quindi sulla seconda, la terza e cosi' via fino a questa, che e' la
settima. Or cosi' anche, appunto, fratello, pura virtu' mena a puro cuore,
puro cuore a pura conoscenza, pura conoscenza a pura sicurezza, pura
sicurezza a pura scienza delle vie, pura scienza delle vie a pura scienza
del sentiero, pura scienza del sentiero a pura scienza, pura scienza ad
immateriale perfetta estinzione. A scopo di immateriale perfetta
estinzione, o fratello, viene presso il Sublime menata santa vita.
Dopo queste parole l'onorevole Sariputto disse
all'onorevole Punno Mantaniputto:
- E' mirabile, o fratello, e' straordinario, come un
cosi' esperto discepolo ha esaurientemente risposto a queste domande di
profondo significato. Felici sono i fratelli dell'ordine e felici siamo
pure noi che godiamo la vista e la compagnia dell'onorevole Punno
Mantaniputto!
Cosi' si allietavano quei due grandi in reciproco,
benfatto, colloquio.
Nivâpa Sutta
La pastura
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî,
nellaSelva del Vincitore, nel giardino di Anâthapindiko. Là il Sublime si
rivolse ai monaci: "Monaci, il cacciatore non sparge pastura alla
selvaggina pensando: 'Possa la selvaggina nutrirsi di questa pastura,
rimanere sana e invecchiare'; ma pensa: 'Adescata dalla pastura che qui
spargo, la selvaggina ne trarrà cieco godimento e, soddisfatta, si lascerà
andare e la potrò rinchiudere a mio vantaggio in questo recinto'.
Venne il primo branco di selvaggina adescata dalla
pastura che il cacciatore aveva sparso, e, come aveva architettato il
cacciatore, gioì ciecamente della pastura, si lasciò andare, e fu
rinchiuso nel recinto. Un secondo branco si accorse dell'accaduto, si
tenne lontano dalla pastura sparsa e si ritirò nel profondo della selva.
Nell'ultimo mese dell'estate, quando erba e acqua inaridirono, il secondo
branco di selvaggina divenne straordinariamente magro, perse le forze;
spossato, ritornò alla pastura che era stata sparsa dal cacciatore,
godette ciecamente del cibo, ne fu soddisfatto, si lasciò andare e fu
rinchiuso nel recinto. Un terzo branco si accorse che neppure il secondo
branco aveva potuto sottrarsi al potere del cacciatore e decise di
trattenersi nelle vicinanze. A quel punto, il cacciatore e i suoi aiutanti
si meravigliarono della magica astuzia del terzo branco che si nutriva con
accortezza della pastura, senza lasciarsi accecare dal godimento, e non si
capiva dove andava dopo che era venuto a nutrirsi. Decisero allora di
circondare da tutti i lati il luogo della pastura con grandi pali per
scoprire dove il branco si nascondeva dopo il pasto. Così facendo
scoprirono i movimenti del branco, lo circondarono e lo rinchiusero nel
recinto.
Un quarto branco di selvaggina che aveva osservato
tutto, pensò di trovare un rifugio che fosse inaccessibile al cacciatore e
ai suoi aiutanti. Venendo di là avrebbe potuto nutrirsi con giudizio della
pastura sparsa, poi si sarebbe di nuovo rifugiato nel luogo inaccessibile
se non a lui. E così fece. Nuovamente il cacciatore e gli aiutanti
circondarono di pali il luogo della pastura e spiarono dove si nascondeva
il quarto branco senza tuttavia riuscire a scoprire dove esso si
nascondeva. Pensarono: 'Se ora noi spaventiamo il quarto branco, questo
spaventerà fuggendo gli altri branchi che, a loro volta, spaventeranno
altri branchi, in tal modo la pastura che spargiamo sarà evitata da tutta
la selvaggina. Sarà meglio lasciar perdere il quarto branco!'. E così, il
quarto branco di selvaggina poté sottrarsi alle astuzie del cacciatore."
"Monaci, il senso del paragone che vi ho detto è
questo: la pastura indica le cinque facoltà del bramare; il cacciatore
designa la malvagità personificata, Maro. Gli aiutanti sono gli agenti
della natura, e il branco indica la comunità degli asceti e degli eremiti.
I primi asceti ed eremiti attratti dalla pastura che la natura sparge,
dall' adescamento del mondo, si sono dati a cieco godimento, divenuti
soddisfatti si sono lasciati andare e sono stati condotti in
quell'adescamento del mondo, alla mercé della natura. Essi non possono
sottrarsi al potere della natura.
Un secondo gruppo di asceti ed eremiti, notato ciò che
è accaduto ai primi, si sono tenuti lontani da ogni adescamento del mondo,
lontani dal cibo nocivo, si sono ritirati nel profondo della selva. Sono
vissuti nutrendosi di erbe e funghi, di riso e grano selvatico, di semi e
noccioli, di latte di piante e resina d'albero, di gramigna, di sterco di
vacca, si sono sostentati di radici e frutti di bosco, sono vissuti di
frutti caduti. E nell'ultimo mese dell'estate, quando tutto inaridì,
divennero scarni, persero le forze; spossati, persero la tranquillità
dello spirito; turbati andarono a quella pastura che la natura sparge, a
quell'adescamento del mondo. Adescati, datisi a cieco godimento, essi
divennero soddisfatti; divenuti soddisfatti, si lasciarono andare;
lasciatisi andare, furono condotti in quel recinto, in quell'adescamento
del mondo, alla mercé della natura.
Un terzo gruppo di asceti ed eremiti, per evitare ciò
che era successo ai primi due, decise di trattenersi nelle vicinanze
dell'adescamento del mondo; là rimanendo essi godettero, non adescati e
non ciecamente, il nutrimento; così facendo non divennero soddisfatti, non
si lasciarono andare e non furono condotti in quel recinto, in
quell'adescamento del mondo, alla mercé della natura. Ma essi concepirono
opinioni come; 'Il mondo è eterno' o 'Il mondo è temporaneo', 'Il mondo è
finito' o 'Il mondo è infinito', 'Anima e corpo sono una e medesima cosa'
o 'Altro è l'anima, altro è il corpo', 'Il Compiuto persiste dopo la
morte' o 'Il Compiuto non persiste dopo la morte' o 'Il Compiuto persiste
e non persiste dopo la morte' o ancora 'Né persiste né non persiste dopo
la morte'. E così, monaci, neppure il terzo gruppo riuscì a sottrarsi al
potere della natura.
Un quarto gruppo di asceti ed eremiti, consapevole di
ciò che era accaduto ai primi tre gruppi, decise di trovare una sede che
fosse inaccessibile alla natura e ai suoi agenti. Di là essi si avanzarono
alla pastura che la natura sparge, all'adescamento del mondo e godettero,
non adescati e non ciecamente, il nutrimento; non divennero soddisfatti,
non si lasciarono andare e non furono condotti in quell'adescamento del
mondo, alla mercé della natura.
Ma come s'impedisce l'accesso alla natura e ai suoi
agenti? Un monaco, ben lungi da brame, lungi da cose non salutari, in
senziente, pensante, nata da pace beata serenità, raggiunge il grado della
prima contemplazione. Costui è un vero monaco: ha accecato la natura, ha
distrutto il suo sguardo, è svanito alla sua malignità.
E inoltre ancora: dopo il compimento del sentire e
pensare, il monaco raggiunge l'interna calma serena, l'unità dell'animo,
la libera dal sentire e pensare, nata dal raccoglimento beata serenità e
il grado della seconda contemplazione. Costui è un vero monaco: ha
accecato la natura, ha distrutto il suo sguardo, è svanito alla sua
malignità.
E inoltre ancora: in serena pace permane il monaco
equanime, savio, chiaro cosciente, e prova nel corpo quella felicità di
cui i santi dicono: 'L'equanime savio vive felice'; così egli raggiunge il
grado della terza contemplazione. Costui è un vero monaco: ha accecato la
natura, ha distrutto il suo sguardo, è svanito alla sua malignità.
E inoltre ancora: dopo il rigetto delle gioie e dei
dolori, dopo l'annientamento della letizia e della tristezza anteriori, il
monaco raggiunge la non triste, non lieta, equanime, savia, perfetta
purezza e il grado della quarta contemplazione. Costui è un vero monaco:
ha accecato la natura, ha distrutto il suo sguardo, è svanito alla sua
malignità.
E inoltre ancora: con il completo superamento delle
percezioni di forma, annientamento delle percezioni riflesse, rigetto
delle percezioni multiple, il monaco, nel pensiero 'Illimitato è lo
spazio', raggiunge il regno dello spazio illimitato. Costui è un vero
monaco: ha accecato la natura, ha distrutto il suo sguardo, è svanito alla
sua malignità.
E inoltre ancora: dopo il superamento dell'illimitata
sfera dello spazio, il monaco, nel pensiero 'illimitata è la coscienza',
raggiunge il regno della coscienza illimitata. Costui è un vero monaco: ha
accecato la natura, ha distrutto il suo sguardo, è svanito alla sua
malignità.
E inoltre ancora: dopo il superamento dell'illimitata
sfera della coscienza, il monaco, nel pensiero 'Niente esiste', raggiunge
il regno della non esistenza. Costui è un vero monaco: ha accecato la
natura, ha distrutto il suo sguardo, è svanito alla sua malignità.
E inoltre ancora: dopo il completo superamento della
sfera della non esistenza, il monaco raggiunge il limite della possibile
percezione. Costui è un vero monaco: ha accecato la natura, ha distrutto
il suo sguardo, è svanito alla sua malignità.
E inoltre ancora: dopo il superamento del limite della
possibile percezione, il monaco raggiunge la dissoluzione della
percettibilità, e la mania del savio veggente è distrutta. Costui è un
vero monaco: ha accecato la natura, ha distrutto il suo sguardo, è svanito
alla sua malignità, è sfuggito alla rete del mondo."
Così parlò il Sublime. Contenti si rallegrarono i
monaci della sua parola.
Ariyapariyesana Sutta
Il santo fine
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nella
Selva del Vincitore, nel giardino di Anâthapindiko. E il Sublime, pronto
da tempo, prese mantello e ciotola e s'avviò alla città per l'elemosina.
Molti monaci si recarono dall'onorevole Ânando e gli dissero:
"È da lungo tempo che non abbiamo sentito dal Sublime
un istruttivo discorso: sarebbe bene lo potessimo fare."
"Allora, onorevoli, recatevi all'eremo del brâhmano
Rammako; forse potrete sentire dal Sublime un istruttivo discorso."
"Lo faremo!" replicarono i monaci.
Quando il Sublime fu passato di casa in casa e fu
tornato dal giro di elemosina, dopo il pasto si rivolse ad Ânando: "Vieni,
andiamo al Bosco ad oriente, sulla Terrazza della madre di Migâro, e
rimaniamo là fino a sera."
"Bene, Signore!" replicò l'onorevole Ânando.
Andarono là e quando il Sublime ebbe finito la
meditazione, disse ad Ânando:
"Vieni, andiamo al Bagno antico a rinfrescare le
membra."
"Bene, Signore!" replicò l'onorevole Ânando. E andarono
là. Dopo che il Sublime ebbe fatto il bagno e si fu asciugato, indossò uno
dei suoi tre capi della veste. Allora l'onorevole Ânando disse: "L'eremo
del brâhmano Rammako, che si trova in una bella e serena campagna, non è
lontano da qui. Sarebbe bene se il Sublime si volesse recare là, mosso da
compassione."
Il Sublime assentì alla preghiera tacendo, e si recò
all'eremo del brâhmano Rammako.
In quel frattempo s'erano radunati là molti monaci in
istruttivo colloquio, e il Sublime si fermò alla porta dell'eremo in
attesa che il colloquio finisse. Quando ciò avvenne, il Sublime tossì e
picchiò col battente, e i monaci gli aprirono la porta. Il Sublime entrò,
si sedette sul sedile che gli fu offerto, e si rivolse ai monaci: "Di cosa
stavate qui parlando, monaci, e perché vi siete interrotti?"
"Ci siamo interrotti perché ci siamo accorti della
venuta del Sublime."
"Bene, monaci, ciò vi si addice, poiché come nobili
figli mossi da fiducia avete lasciato la casa per l'eremo, è bene che vi
siate radunati ad istruttivo colloquio. Quando vi trovate insieme è
conveniente che pratichiate un istruttivo colloquio o un santo silenzio.
Monaci, vi sono due fini: il fine santo e quello che non lo è. E qual è il
fine non santo? Ecco, uno che sia soggetto alla nascita, cerca ciò che è
soggetto alla nascita; soggetto ad invecchiare, cerca ciò che è soggetto
ad invecchiare; soggetto alla malattia, cerca ciò che è soggetto alla
malattia, e lo stesso accade per colui che è soggetto alla morte, al
dolore, alla sozzura. Ma cosa dite essere soggetto alla nascita? Mogli e
figli lo sono, ed anche servi e serve, pecore e capre, porci e polli,
elefanti e buoi, stalloni e giumente, oro e argento. Ed ecco che, essendo
soggetti alla nascita, si è adescati, accecati, attirati da ciò che è
soggetto alla nascita. Ma tutte queste cose sono soggette alla vecchiaia,
alla malattia, alla morte, al dolore, alla sozzura. Ed essendo soggetti a
tutto ciò se ne è adescati, accecati, attirati e li si cerca. Questo,
monaci, è il fine non santo!
Ma qual è il fine santo? Uno che sia soggetto alla
nascita, osservando la miseria di questa legge di natura, cerca
l'incomparabile sicurezza del senza nascita, l'estinzione: soggetto alla
vecchiaia, alla malattia, alla morte, al dolore, alla sozzura, osservando
la miseria di tutte quelle cose, cerca l'incomparabile sicurezza priva di
tutto ciò, l'estinzione."
"Anche io, una volta, prima del pieno risveglio, come
imperfetto Svegliato, al risveglio solo anelante, essendo io stesso
soggetto alla nascita, alla vecchiaia, alla malattia, alla morte, al
dolore, alla sozzura, ho cercato ciò che era soggetto a tutte quelle cose.
Allora mi venne il pensiero: 'Cosa sto cercando? E se io ora, osservando
la miseria di questa legge di natura, cercassi l'incomparabile sicurezza
del senza nascita, del senza vecchiaia, del senza malattia, del senza
morte, del senza dolore, del senza sozzura: l'estinzione?
Ed io, monaci, dopo qualche tempo, ancora in fresco
fiore, splendente di capelli neri, nel godimento della felice giovinezza,
nella prima età virile, contro il desiderio dei miei genitori piangenti e
gementi, rasi capelli e barba, vestito dell'abito fulvo, mi allontanai
dalla casa per l'eremo. Così, divenuto pellegrino, cercando il vero bene,
investigando per l'incomparabile altissimo sentiero di pace, io mi recai
da Âlaro Kâlâmo e gli dissi: ' Io vorrei, fratello, condurre vita ascetica
in questa dottrina ed ordine'. La risposta fu: 'Resta, onorevole! Questa
dottrina è tale che un uomo intelligente, anche in breve tempo, può
comprenderla e, palesando la propria maestria, può raggiungerne il
possesso'. Ed io lo feci, imparai tutto ciò che labbra e suoni possono
trasmettere: la parola della scienza e la parola dei discepoli anziani. Ma
mi venne il pensiero: 'Âlaro Kâlâmo non insegna l'intera dottrina così
come la conosce'. Allora andai da lui e dissi: 'Fino a che punto,
fratello, tu dichiari che noi abbiamo compreso questa dottrina e l'abbiamo
fatta nostra?' Allora egli espose il regno della non esistenza. M io
pensai: 'Âlaro Kâlâmo non ha fiducia, non ha costanza, non ha sapere, non
ha raccoglimento, non ha sapienza, ma io sì! E se ora io mi appropriassi
di questa dottrina fino a padroneggiarla?'. E in breve tempo, monaci, io
avevo compreso questa dottrina, ne avevo raggiunto il possesso. Allora
andai di nuovo da Âlaro Kâlâmo e gli chiesi: 'È stata da me compresa e
realizzata questa tua dottrina?' E lui rispose: 'Così come io annunzio la
dottrina, così tu l'hai compresa e realizzata. Vieni dunque, fratello, sei
divenuto pari a me e possiamo dirigere insieme questa schiera di
discepoli'. Così, monaci, Âlaro Kâlâmo dichiarò me, suo discepolo, come
suo pari e mi onorò con alto riconoscimento.
Ma a me venne questo pensiero: 'Questa dottrina non
conduce al distacco, al rivolgimento, alla dissoluzione, all'annullamento,
alla contemplazione, al pieno risveglio, all'estinzione, ma solamente
all'apparizione nella sfera della non esistenza'. E io trovai questa
dottrina insoddisfacente, e, inappagato da essa, mi allontanai.
Alla ricerca del vero bene, investigando per
l'incomparabile altissimo sentiero di pace, io mi recai da Uddako, il
figlio di Râmo, e gli dissi:
'Vorrei, fratello, praticare la vita ascetica della tua
dottrina e nel tuo ordine.' E anche lui mi rispose: 'Resta, onorevole!
Questa dottrina è tale che un uomo intelligente, anche in breve tempo, può
comprenderla e, palesando la propria maestria, può raggiungerne il
possesso'. E io compresi in breve tempo questa dottrina. E, com'era
accaduto prima, essendomi accorto che Uddako Râmaputto, non aveva
comunicato l'intera dottrina, mi recai da lui, e, insistendo, egli mi
espose il limite di possibile percezione. Mettendo in atto le mie qualità,
in breve tempo compresi e divenni padrone di quest'altra dottrina. Mi
recai da Uddako e dimostrai la mia padronanza della sua dottrina. E,
ancora una volta, egli mi dichiarò suo pari, mi rese onore e mi investì
del grado di maestro della schiera dei suoi discepoli. Ma nuovamente
pensai: 'Questa dottrina non conduce al distacco, al rivolgimento, alla
dissoluzione, all'annullamento, alla contemplazione, al pieno risveglio,
all'estinzione, ma solamente all'apparizione nella sfera del limite di
possibile percezione'. E io trovai questa dottrina insoddisfacente, e,
inappagato da essa, mi allontanai.
Cercando il vero bene, investigando per l'incomparabile
altissimo sentiero di pace, passai di luogo in luogo per la terra di
Magadhâ e giunsi nelle vicinanze del borgo di Uruvelâ. Là vidi un ben
esposto pezzo di terra, un sereno fondo boschivo, un limpido fiume
scorrente, adatto al bagno, rallegrante, e tutt'intorno prati e campi.
Pensai che ciò bastava per l'ascesi di un nobile figlio, e mi sedetti
esclamando: 'Ciò basta all'ascesi!'.
E io, monaci, che soggetto alla nascita, osservando la
miseria di questa legge di natura, cercavo l'incomparabile sicurezza del
senza nascita, l'estinzione, trovai proprio quello che cercavo. E ora la
chiara certezza mi si schiuse:
'Per sempre sono redento,
L'ultima vita è questa,
E non v'è più ritorno.'
E pensai: 'Trovato ho io ora questa verità, profonda,
difficile da scoprire, difficile da percepire, tranquilla, preziosa,
intima, inescogitabile, accessibile ai savi. Ma la gente cerca il piacere,
ama il piacere, pregia il piacere. Alla gente una cosa come il rapporto di
causa ed effetto, l'origine da cause, sarà appena intelligibile; ed anche
quest'altra cosa essa a stento intenderà: lo svanire d'ogni distinzione,
il distacco da ogni attaccamento, l'esaurirsi della sete di vivere, il
rivolgimento, la dissoluzione, l'estinzione. Se io quindi espongo la
verità e gli altri non mi intendono, me ne verrà certo amarezza e pena'. E
spontanei mi si presentarono questi versi, mai prima sentiti:
'Quel che con intimo sforzo ho trovato
Or palesare è interamente vano:
Agli uomini, che d'odio ardono e brama
Non conviene davver tale dottrina
Dottrina, che risale la corrente,
Ch'è interna ed è profonda ed è nascosta:
Essa resta invisibile ai bramosi,
Nella più fitta tenebra raccolta.'
Così riflettendo, monaci, inclinava l'animo mio a
rinserrarsi, non ad esporre la dottrina. Allora Brahmâ Sahampati (*) si
avvide della mia riflessione e si dolse: 'Si perderà il mondo, miseramente
si perderà se l'animo del Compiuto, Santo, perfetto Svegliato, inclina a
rinserrarsi, a non esporre la dottrina!' Allora Brahmâ Sahampati disparve
dal mondo di Brahmâ con la stessa facilità con cui un uomo forte stende o
piega il braccio, ed apparve innanzi a me. Scopertasi una spalla,
congiunse le mani verso di me e disse: 'Voglia il Sublime esporre la
dottrina! Vi sono esseri di più nobile specie: senza aver udito la
dottrina essi si perdono; essi comprenderanno la dottrina'. Così parlò, ed
aggiunse:
'Ben false cose furono annunziate
In Magadhâ; dottrine false e torbide,
Da indegni escogitate e proclamate.
Questa porta di vita apri ora tu,
E guidaci alla nuova verità.
Com'un, che in cima stia ad alto monte
E sulla terra guardi tutt'intorno,
Guarda or così, Tutt'Occhio, tu dal sommo
Vertice del vero su questo mondo
Di dolore, tu dal dolor redento!
Guarda, o Savio, pietoso, all'esistenza:
Formarsi e trapassare è il suo tormento.
Tu, o Eroe, vincitor della battaglia,
Volgiti, o duce senza macchia, al mondo!
Annunziagli, o Signore, la dottrina:
Intelligenti pur si troveranno'.
Per sollecitazione di Brahmâ dunque, e per compassione
degli esseri io guardai con lo svegliato occhio nel mondo. Così come in un
lago con piante di loto, alcuni fiori celesti o bianchi o rosei, hanno
origine nell'acqua e in essa si sviluppano, rimangono sotto la sua
superficie e succhiano nutrimento dalla profondità; altri si spingono sino
alla superficie dell'acqua; e altri ancora emergono sull'acqua: così
appunto io vidi, guardando con lo svegliato occhio nel mondo, esseri di
specie nobile e di specie volgare, acuti di mente e ottusi di mente, bene
dotati e male dotati, svelti a comprendere e tardi a comprendere, e molti
che stimano cattiva l'esaltazione di un altro mondo. E allora replicai a
Brahmâ con questa strofa:
'Dell'immortalità s'apron le porte:
Chi ha orecchi per udire venga ed oda.
Repulsione intuendo io non volevo
L'alta dottrina palesar, Brahmâ '.
Allora Brahmâ disse: 'Il Sublime ha consentito ad
esporre la dottrina', mi salutò riverentemente, girò verso destra e sparì
di là. E ora mi chiesi: 'A chi potrei esporre per primo la dottrina; chi
potrà comprenderla presto?' Allora pensai di esporla ad Âlaro Kâlâmo
perché era un savio ritirato, profondo, che viveva da lungo tempo nella
rinuncia; lui avrebbe presto compreso, ma mi si presentarono delle
divinità che mi dissero che Âlaro Kâlâmo era morto da sette giorni. Allora
pensai di esporre la dottrina a Uddako Râmaputto, anche lui un savio
ritirato, profondo, che viveva da lungo tempo nella rinuncia; lui avrebbe
presto compreso, ma altre divinità mi riferirono che Uddako era morto la
sera avanti.
Mi tornò il pensiero: 'A chi altri potrei esporre la
dottrina?' E mi ricordai di quei cinque compagni che mi assistevano quando
io mi diedi all'ascesi; perché non esporre la dottrina a loro. Ma dove
avrei potuto trovarli? Con l'occhio celeste, rischiarato, sopraterreno,
vidi che essi soggiornavano presso Benâres, nel Bosco della Pietra del
Vate. Ed allora io, monaci, dopo essermi trattenuto alquanto in Uruvelâ,
mi diressi verso Benâres.
Allora mi incontrò Upako, un penitente nudo, sulla via
che dall'albero del Risveglio va verso Gayâ, e mi disse: 'Sereno,
fratello, è il tuo volto, chiaro il colore della pelle e puro! Per quale
motivo ti sei ritirato dal mondo? Chi è il tuo maestro? Di quale dottrina
sei seguace?' A queste parole io dissi ad Upako queste strofe:
'Vittorioso io sono, onniveggente,
Per sempre distaccato da ogni cosa,
Rinnegator di tutto, e senza sete,
Da me maestro, chi mai nomerò?
Nessun maestro inver m'ha illuminato,
Esser non avvi alcuno che m'agguagli;
Il mondo coi suoi dei tutti quanti
Alcun non ha che a pari possa starmi.
Poi che il Signore io ben sono del mondo,
L'altissimo Maestro, tal son'io,
Un unico di tutto Compitor,
Ch'ogni manìa perfettamente ha estinto.
Il vero regno appunto adesso io edifico
E di Benâres vado alla città:
Nel mondo oscuro lieta ha da squillare
Ora la tromba d'immortalità'.
'Così tu dunque, fratello, credi di essere il Santo,
l'illimitato Vincitore?'
'Eguali a me son certo i Vincitori,
Allor che la manìa hann'abbattuto:
Tutto quel ch'è dannoso io ho già vinto,
Ben sono dunque, Upako, un Vincitore'.
A questi versi, il penitente nudo Upako replicò: 'E
quand'anche fosse, fratello! '; scosse il capo, e s'allontanò per una via
laterale. E io, di luogo in luogo, giunsi là dove si trovavano i miei
cinque compagni che, quando mi ebbero visto, si dissero l'un l'altro:
'Ecco che arriva l'asceta Gotamo, l'abbondante, quello che abbandonata
l'ascesi s'è dato all'abbondanza: non salutiamolo, non alziamoci per
togliergli mantello e ciotola; indichiamogli solo un posto dove, se vuole,
può sedersi'. Ma più m'avvicinavo, meno i cinque compagni poterono
persistere nella loro risoluzione: alcuni mi vennero incontro e mi tolsero
mantello e ciotola, alcuni mi pregarono di prendere posto, alcuni
prepararono un lavacro per i piedi, e tutti mi salutarono chiamandomi
fratello. Ma io dissi loro: 'Ascoltatemi: l'immortalità è trovata. Io
guido, io espongo la dottrina. Seguendo la mia guida, voi in breve tempo,
ancora in questa vita, imparerete, realizzerete e conquisterete la più
alta perfezione della santità: quello scopo per il quale nobili figli
lasciano la casa per l'eremo. Non salutatemi col nome di fratello: santo è
il Compiuto, il perfetto Svegliato!'. I cinque mi risposero: 'Perfino con
la tua tanto aspra penitenza, fratello Gotamo, con la tua macerazione, con
la tua ascesi dolorosa, tu non hai conquistato il sopraterreno, ricco
santuario della ricchezza del sapere: com'è che ora che ti sei dato
all'abbondanza, che hai abbandonato l'ascesi, tu ora dici di possedere la
somma chiarezza del sapere?'. E io replicai: 'Non è così come dite: santo
è il Compiuto, il perfetto Svegliato. Ascoltate, vi ripeto ciò che vi ho
detto'. Ma i cinque per la seconda e per la terza volta mi fecero la
stessa obiezione. Allora chiesi loro se mi avessero mai sentito prima fare
certe affermazioni. Mi risposero di no. Per la quarta volta ripetei il
messaggio, e finalmente riuscii a rendere i cinque compagni partecipi di
ciò che conoscevo. Prima spiegai come elemosinare: due o tre monaci
andavano a elemosinare, e il cibo che avevano ricevuto in elemosina
l'avremmo diviso in sei parti e avremmo vissuto di ciò. Poi spiegai la
dottrina ed essi, così ammaestrati, così guidati, soggetti essi stessi
alla nascita, osservando la miseria di questa legge di natura, cercando
l'incomparabile sicurezza senza nascita, senza vecchiaia, senza malattia,
senza morte, senza dolore, senza sozzura, trovarono l'incomparabile
sicurezza dell'estinzione. La chiara certezza si schiuse ora a loro:
'Per sempre siam redenti,
L'ultima vita è questa,
E non v' è più ritorno'.
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"Monaci, vi sono cinque facoltà di bramare: le forme
penetranti per la vista, i suoni penetranti per l'udito, gli odori
penetranti per l'olfatto, i sapori penetranti per il gusto, i contatti
penetranti per il tatto, tutti amati, desiderati, appaganti, graditi,
corrispondenti alle brame, eccitanti, entrano nella coscienza. Di tutti
gli asceti o brâhmani, che adescati, accecati, attirati, si servono delle
cinque facoltà di bramare, senza vederne la miseria, senza pensare a
scamparvi, si può dire che sono: perduti, rovinati, caduti in balìa del
danno. Se una fiera del bosco fosse presa da un laccio, allora essa
sarebbe perduta, rovinata, caduta in balìa del cacciatore; se ora
arrivasse il cacciatore, essa non potrebbe scappare dove vuole: così
sarebbe degli asceti che si servono delle cinque facoltà del bramare senza
rendersi conto dei rischi. Se invece essi se ne rendessero conto,
sarebbero come una fiera del bosco che non avesse posato la zampa nel
laccio del cacciatore. Così come una fiera, vagando in remoti recessi
della selva, è sicura andando, fermandosi, sedendo e giacendo perché è
lontana dalle trappole del cacciatore: altrettanto un monaco, lungi da
brame, lungi da cose non salutari, in sentita, pensante, nata da pace
beata serenità, raggiunge il grado della prima contemplazione. Questo è un
vero monaco: egli ha accecato la natura, distruttone lo sguardo, è
sfuggito alla sua malignità.
E inoltre, dopo il compimento, la cessazione, del
sentire e pensare, il monaco raggiunge l'interna calma serena, l'unità
dell'animo, la beata serenità nata dal raccoglimento libera dal sentire e
pensare, il grado della seconda contemplazione. Questo è un vero monaco:
egli ha accecato la natura, distruttone lo sguardo, è sfuggito alla sua
malignità.
E inoltre ancora, in serena pace permane il monaco,
equanime, savio, chiaro cosciente, e prova nel corpo quella felicità di
cui i santi dicono: 'L'equanime savio vive felice'; così egli raggiunge il
grado della terza contemplazione. Questo è un vero monaco: egli ha
accecato la natura, distruttone lo sguardo, è sfuggito alla sua malignità.
E inoltre ancora, dopo il rigetto delle gioie e dei
dolori, dopo l'annientamento della letizia e della tristezza anteriori, il
monaco raggiunge la non triste, non lieta, equanime savia, perfetta
purezza, il grado della quarta contemplazione. Questo è un vero monaco:
egli ha accecato la natura, distruttone lo sguardo, è sfuggito alla sua
malignità.
E inoltre ancora, con il completo superamento delle
percezioni di forma, annientamento di quelle riflesse, rigetto di quelle
multiple, il monaco, nel pensiero 'Illimitato è lo spazio' raggiunge il
regno dello spazio illimitato. Questo è un vero monaco: egli ha accecato
la natura, distruttone lo sguardo, è sfuggito alla sua malignità.
E inoltre ancora: dopo il superamento dell'illimitata
sfera dello spazio, il monaco, nel pensiero 'Illimitata è la coscienza'
raggiunge il regno della coscienza illimitata. Questo è un vero monaco:
egli ha accecato la natura, distruttone lo sguardo, è sfuggito alla sua
malignità.
E inoltre ancora, dopo il completo superamento
dell'illimitata sfera della coscienza, il monaco, nel pensiero 'Niente
esiste' raggiunge il regno della non esistenza. Questo è un vero monaco:
egli ha accecato la natura, distruttone lo sguardo, è sfuggito alla sua
malignità.
E inoltre ancora, dopo il completo superamento della
sfera della non esistenza, il monaco raggiunge il limite di possibile
percezione. Questo è un vero monaco: egli ha accecato la natura,
distruttone lo sguardo, è sfuggito alla sua malignità.
E inoltre ancora, dopo il superamento del limite di
possibile percezione, il monaco raggiunge la dissoluzione della
percettibilità, e la manìa del savioveggente è distrutta. Questo è un vero
monaco: egli ha accecato la natura, distruttone lo sguardo, è sfuggito
alla sua malignità, sfuggito alla rete del mondo. Sicuro egli va, sicuro
sta, sicuro siede, sicuro giace, e ciò perché egli si tiene fuori dal
dominio del danno.
Così parlò il Sublime. Contenti si rallegrarono i
monaci della sua parola.
(*) Nota del De Lorenzo
Sahampati = l'Io signore, è il nome proprio di questo
Brahmâ. L'esitazione di Gotamo, il dolore e l'incitamento di Brahmâ
Sahampati, nonché gli annessi, meravigliosi avvenimenti, sono stati
giustamente riconosciuti come apocrifi da Robert L'Orange: essi
appartengono difatti alla leggenda del Mahâvaggo-Mahâvastu e sono
posteriori al resto del sutta.
Cûlahatthipadoma Sutta
L'orma dell'elefante
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nella
Selva del Vincitore, nel giardino di Anâthapindiko. In quello stesso
periodo il brâhmano Jânussoni uscì di pomeriggio dalla città in un carro
con la tenda bianca, vide arrivare da lontano il pellegrino Pilotikâ e gli
chiese: "Caro Vacchâyano (?) da dove vieni?"
"Dall'asceta Gotamo"
"Cosa ne pensi di lui? Ha uno spirito forte ed è
veramente saggio?"
"Chi sono io per dirlo? Dovrebbe essere uguale a lui
quello che potrebbe riuscire a conoscerne la grande forza di spirito!"
"È una poderosa lode quella che gli fai, Vacchâyano!"
"Chi sono io per poterlo lodare? Solo una persona
eccezionale potrebbe lodare l'asceta Gotamo, il più grande degli uomini e
degli dèi."
"Quali doti hai percepito in lui per essergli così
devoto?"
"È come se un cacciatore di elefanti, perlustrando un
luogo da essi frequentato, trovasse un orma di elefante talmente grande da
pensare: 'Che possente elefante dev'essere questo!'. Altrettanto ho
concluso io quando ho visto quattro orme dell'asceta Gotamo:
'Perfettamente Svegliato è il Sublime, ben annunciata da lui è la
dottrina, ben guidati i suoi discepoli!'. Quali quattro?
Ho visto parecchi nobili dotti, raffinati ed esperti
dialettici, capaci di spaccare un capello in quattro, che col loro acume
erano in grado di sviscerare, per così dire, interi sistemi. Essendo
giunto alle loro orecchie che l'asceta Gotamo sarebbe passato in un
villaggio o in una città, essi avevano elaborato una domanda da porgli. Se
egli avesse risposto in un modo, essi l'avrebbero controbattuto in un
altro; se avesse risposto in un altro, ugualmente avrebbero replicato di
conseguenza. E si recavano là dove l'asceta Gotamo si trovava. Ed egli li
confortava, li rincuorava, li animava e rasserenava in un istruttivo
colloquio, tanto che essi non gli facevano neppure una domanda, e non solo
non lo contraddicevano, ma diventavano addirittura suoi seguaci.
Vedendo questa prima orma ho concluso: 'Perfettamente
Svegliato è il Sublime, ben annunciata da lui è la dottrina, ben guidati i
suoi discepoli!'
E inoltre ho visto parecchi brâhmani dotti, raffinati
ed esperti dialettici, capaci di spaccare un capello in quattro, che col
loro acume erano in grado di sviscerare, per così dire, interi sistemi.
Anche essi volevano proporre domande tranello a Gotamo, ma, com'era
accaduto ai nobili, anche loro divennero suoi seguaci.
E questa fu la seconda orma che vidi.
E inoltre ancora ho visto parecchi borghesi dotti,
raffinati ed esperti dialettici, capaci di spaccare un capello in quattro,
che col loro acume erano in grado di sviscerare, per così dire, interi
sistemi. E, com'era accaduto ai nobili e poi ai brâhmani, rinunciarono
anche loro a fare domande tranello e divennero seguaci dell'asceta Gotamo.
E questa fu la terza orma che vidi.
E ancora una volta ho visto parecchi asceti dotti,
raffinati ed esperti dialettici, capaci di spaccare un capello in quattro,
che col loro acume erano in grado di sviscerare, per così dire, interi
sistemi. E anche loro supplicarono l'asceta Gotamo di accoglierli
nell'Ordine. E Gotamo li accolse. Accolti essi vivevano isolati,
appartati, con seri intendimenti, solerti, instancabili. Ed in breve tempo
essi, ancora in questa vita, avevano a sé fatta palese, realizzata e
conquistata la più alta perfezione della santità: quel fine per il quale
nobili figli abbandonano la casa per l'eremo. Ed essi dicevano: 'Noi
dovevamo aver perduto quell'intelletto, che ora abbiamo ritrovato! Noi che
pensavamo di essere degli asceti, eravamo tutt'altro; noi credevamo
d'essere santi e non lo eravamo; noi che pensavamo di essere vincitori,
eravamo tutto meno che vincitori: ora siamo asceti, siamo santi, siamo
vincitori.
Quando io ebbi visto questa quarta orma dell'asceta
Gotamo, allora ho concluso: 'Perfettamente Svegliato è il Sublime, ben
annunciata da lui è la dottrina, ben guidati i suoi discepoli!"
A queste parole il brâhmano Jânussoni discese dal carro
con la tenda bianca, denudò una spalla, s'inchinò riverentemente nella
direzione in cui il Sublime dimorava, e per tre volte fece risuonare
questo saluto:
"Venerazione al Sublime al santo svegliato Signore!
"Oh, se avessi io pure una volta l'occasione di
incontrarmi con il signore Gotamo e potessi avere con lui un colloquio!"
Ed egli si recò là dove il Sublime dimorava, salutò con cortesia, scambiò
con lui amichevoli e importanti parole, e si sedette accanto
raccontandogli del suo incontro col pellegrino Pilotikâ e del colloquio
avuto. E il Sublime disse: "Il paragone con l'orma dell'elefante è rimasto
incompleto, ma ora te lo completerò; fai attenzione al mio dire. Se un
cacciatore d'elefanti perlustra un luogo che essi frequentano e trova la
possente ed enorme impronta di un elefante, esperto com'è egli non
conclude subito: 'Che possente elefante dev'essere questo!'. Perché no?
Perché nella selva vi sono femmine d'elefanti, dette nane, con grossi
piedi, e quella potrebbe essere una loro orma. Egli segue quell'orma e
trova nella selva un'altra possente orma di elefante molto larga di una
zampa che ha calpestato e schiacciato delle canne. Ma, se è esperto,
neppure adesso conclude di trovarsi in vicinanza di un possente elefante.
Perché sa che nella selva vi sono femmine di elefanti dette
'schiacciatrici di canneti', con grosse zampe, e potrebbe essere una loro
orma. Segue quell'orma e trova un'altra grossa orma con canne schiacciate
e, sopra quelle, canne intaccate dalle zanne. Ma ancora una volta egli non
conclude che quella è l'orma d'un possente elefante. Potrebbe essere
l'impronta di una delle elefantesse dette 'dilaniatrici di canneti', dalle
grosse zampe. Il cacciatore continua a seguire le tracce e trova una
grossa orma con canne schiacciate, con canne intaccate dalle zanne e con
rami spezzati sopra. Ed egli scorge l'elefante, al piede d'un albero o in
una radura, mentre va, o sta, o si riposa o giace. Allora egli può
concludere: 'Questo è il possente elefante!' Allo stesso modo, brâhmano,
ecco che appare il Compiuto nel mondo, il Santo, il perfetto Svegliato,
Esperto di sapienza e di vita, il Benvenuto, il Conoscitore del mondo,
l'incomparabile Guida dell'umano gregge, il Maestro degli dèi e cattivi e
buoni spiriti, le sue schiere di asceti e brâhmani, dèi e uomini, dopo che
egli stesso lo ha compreso e penetrato. Egli annuncia la dottrina il cui
principio beatifica, il cui mezzo beatifica, la cui fine beatifica; la
dottrina fedele di senso e di parola; egli espone l'ascesi perfettamente
purificata, perfettamente rischiarata. Questa dottrina viene sentita da un
padre di famiglia, o dal suo figlio, o da uno rinato altrove. Sentita la
dottrina, egli concepisce fiducia nel Compiuto. Pieno di questa fiducia
egli pensa e riflette così: 'Un carcere è la casa, un letamaio; libero
cielo è il pellegrinare. Non si può, restando in casa, adempiere punto per
punto l'ascetismo completamente purificato. E se io, ora, rasi capelli e
barba, vestito dell'abito fulvo, andassi via da casa all'eremo?' Dopo
qualche tempo egli abbandona una piccola o una grande proprietà, abbandona
una piccola o una grande cerchia di parenti, si rade capelli e barba,
indossa gli abiti fulvi e allontanatosi da casa va verso l'eremo. Ora egli
è divenuto un pellegrino e s'è assunto gli obblighi dell'ordine dei
monaci. Ha smesso d'uccidere, si tiene lontano dall'uccidere. Senza mazza,
senza spada, sensibile, pieno di simpatia, egli nutre per tutti gli esseri
viventi amore e compassione. Ha smesso di prendere ciò che non gli è dato,
se ne guarda bene. Aspetta ciò che gli è dato, senza intenzione furtiva,
con cuore divenuto puro. Ha smesso la lussuria, vive casto, fedele alla
rinuncia, estraneo alla volgare legge dell'accoppiarsi. Ha smesso il
mentire, si tiene lontano dalla menzogna. Dice la verità, è devoto alla
verità, retto, degno di fede, non è un ipocrita adulatore del mondo. Ha
smesso la maldicenza, se ne guarda bene. Ciò che ha sentito qui egli non
lo racconta là, per disunire quelli; e ciò che ha sentito là non lo
racconta qui, per disunire questi. Così egli unisce i disuniti, rafforza
gli uniti; la concordia lo allieta, lo rallegra, lo fa felice; egli dice
parole che promuovono concordia. Ha smesso le parole aspre, se ne tiene
lontano. Parole che sono senza offesa, benefiche all'orecchio, amorose,
che vanno al cuore, urbane, che molti rallegrano, molti sollevano: tali
sono le parole che dice. Ha smesso le chiacchiere, se ne guarda bene.
Parla a tempo debito, conforme ai fatti, attento al senso, fedele alla
dottrina e all' Ordine: il suo discorso è ricco di contenuto,
all'occasione ornato di paragoni, chiaro e determinato, adeguato al suo
oggetto. Si astiene dal cogliere frutti e piante. Una volta al giorno egli
prende cibo; di notte resta digiuno; non gli avviene di mangiare fuori
tempo. Si astiene da balli, canti, giochi, rappresentazioni. Rifiuta
corone, profumi, unguenti, ornamenti, acconciature, addobbi. Evita gli
alti, ampi e comodi giacigli. Non accetta oro e argento. Non accetta
cereali crudi. Non accetta carne cruda. Non prende donne e fanciulle. Non
prende servi e serve. Non prende capre e pecore. Non prende polli e porci;
elefanti, buoi e cavalli. Non accetta terreni. Non assume messaggi, invii,
incarichi. Si astiene da compravendita. Si tiene lontano da falso peso e
misura. Si tiene lontano dalle oblique vie della seduzione, simulazione,
bassezza. Si tiene lontano da zuffe, baruffe, risse; da furti, prede e
violenze. È contento dell'abito che lo copre, del cibo mendicato che
sostenta la sua vita. Dovunque vada, egli va munito solo dell'abito e
della ciotola con cui elemosina (il cibo). Come un uccello, dovunque esso
voli, lo fa solo col peso delle sue penne, così appunto un monaco è
contento dell'abito e del cibo mendicato. Nell'osservare questi santi
precetti di virtù egli prova un'intima, immacolata gioia.
Se scorge con la vista una forma, non concepisce alcun
interesse. Siccome brama ed avversione, dannosi e nocivi pensieri, ben
presto sopraffanno colui che permane con vista non vigilata, egli si
dedica a questa vigilanza, egli controlla la vista, vigila attentamente
sulla vista. Se ora egli ode con l' udito un suono, se odora con l'olfatto
un odore, se gusta con la lingua un sapore, se tocca con il tatto un
contatto, se riconosce col pensiero unacosa, egli non concepisce alcuna
inclinazione, alcun interesse. Siccome brama e avversione, dannosi e
nocivi pensieri, ben presto sopraffanno colui che permane col pensiero non
vigilato, egli si dedica a questa vigilanza, egli osserva il pensiero,
vigila attentamente sul pensiero. Mettendo in atto questo controllo dei
sensi egli prova un'intima, inalterata gioia. Chiaramente consapevole egli
va e viene, guarda o distoglie lo sguardo, si alza e si muove, porta
l'abito e la ciotola dell'elemosina, mangia e beve, mastica e gusta,
libera vescica e intestino, va, sta, siede, s'addormenta, si sveglia,
parla o tace.
Fedele a questi santi precetti di virtù, a questo
controllo dei sensi, fedele a questo santo e chiaro sapere egli cerca un
luogo appartato, un bosco, il piede d'un albero, una grotta, una caverna
di montagna, un cimitero, la profondità di una selva, un giaciglio di
strame nell'aperta pianura. Tornato dall'aver elemosinato il cibo, dopo il
pasto, egli siede con le gambe incrociate, il busto diritto, sollevato, e
medita. Ha smesso brama mondana; ha smesso l'avversione ed è pieno d'amore
e compassione per tutti gli esseri viventi; ha smesso l'accidiosa
pigrizia, è amante della luce, saggio, chiaramente cosciente; ha smesso
l'orgogliosa superbia, è intimamente pacato nell'animo; ha smesso di
tentennare, s'è liberato dall'incertezza, non dubita di ciò che è
salutare.
Egli ha così tolto questi cinque impedimenti, ha
imparato a conoscere le paralizzanti scorie dell'animo e, lungi da brame e
da cose non salutari, egli raggiunge in consapevole, pensante, beata
serenità il grado della prima contemplazione.
Ma non è questa che viene chiamata l'orma del Compiuto.
Dopo il compimento del sentire e pensare, il monaco
raggiunge l'interna calma serena, l'unità dell'animo, la beata serenità
nata dal raccoglimento e libera dal sentire e dal pensare, il grado della
seconda contemplazione.
Ma neppure questa è l'orma del Compiuto.
In serena pace permane il monaco equanime, saggio,
chiaramente cosciente, e prova nel corpo quella felicità di cui i santi
dicono: 'L'equanime saggio vive felice'; così egli raggiunge il grado
della terza contemplazione.
Ma neppure questa è l'orma del Compiuto.
Dopo il rigetto delle gioie e dei dolori, dopo
l'annientamento della letizia e della tristezza antecedenti, il monaco
raggiunge la non triste né lieta, equanime, saggia, perfetta purezza, il
grado della quarta contemplazione.
Ma neppure questa è l'orma del Compiuto.
Con tale animo, saldo, purificato, terso, schietto,
libero da scorie, malleabile, duttile, compatto, incorruttibile, egli
dirige l'animo alla memore conoscenza di anteriori forme di esistenza.
Egli si ricorda di molte e diverse anteriori forme di esistenza: una vita,
due vite, centomila vite; poi delle epoche durante parecchie formazioni e
trasformazioni di mondi. 'Là ero io, avevo quel nome, appartenevo a quella
famiglia, quello era il mio stato, quello il mio lavoro, tale bene e tale
male provai, così terminò la mia vita; di là trapassato entrai in una
nuova esistenza con tutt 'altre caratteristiche.' Così egli ricorda molte
diverse anteriori forme di esistenza, ognuna con le proprie
caratteristiche, ognuna con le particolari relazioni. Con tale animo egli
dirige l'animo alla conoscenza dell'apparire e sparire degli esseri. Con
l'occhio celeste, rischiarato, sopraterreno vede gli esseri sparire e
riapparire, volgari e nobili, belli e brutti, felici ed infelici; egli
riconosce come gli esseri riappaiano sempre secondo le azioni.
Ma neppure questa è l'orma del Compiuto.
Con tale animo egli dirige l'animo alla conoscenza
dell'estinguersi della mania. 'Questo è il dolore' comprende secondo
verità. 'Questa è l'origine del dolore' comprende secondo verità. 'Questo
è l'annientamento del dolore' comprende secondo verità. Questa è la via
che conduce all'annientamento del dolore' comprende secondo verità.
'Questa è la mania; questa è la sua origine; questo è l'annientamento
della mania; questa è la via che conduce all'annientamento della mania'
comprende conforme a verità.
Ma ancora una volta non è questa l'orma del Compiuto.
Ma la conclusione è vicina perché così conoscendo, così
vedendo, il suo animo viene redento dalla mania del desiderio, redento
dalla mania dell'esistenza, redento dalla mania dell'errore. Sorge in lui
questo sapere: 'Nel redento è la redenzione'. Egli allora comprende:
'Esausta è la vita, compiuta è la santità, operata è l'opera, non esiste
più questo mondo'. Questa, brâhmano, viene chiamata l'orma del Compiuto. E
il santo uditore può ora concludere: 'Perfettamente Svegliato è il
Sublime, bene annunciata da lui è la dottrina, ben affidati a lui sono i
discepoli'. A questo punto il paragone con l'orma dell'elefante è divenuto
completo,"
Dopo queste parole il brâhmano Jânussoni disse al
Sublime: "Benissimo, Gotamo, benissimo! Così come se uno raddrizzasse ciò
che è rovesciato, o scoprisse ciò che è coperto, o mostrasse la via agli
smarriti, o portasse un lume nella notte: 'Chi ha occhi vedrà le cose':
così anche in verità venne dal signore Gotamo in varia guisa esposta la
dottrina. Anche io prendo rifugio presso il signore Gotamo, presso la
dottrina e presso la comunità dei discepoli. Come seguace voglia il
signore Gotamo considerarmi, da oggi per tutta la vita fedele."
Mahâhatthipadoma Sutta
La grande orma dell'elefante
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nella
Selva del Vincitore, nel giardino di Anâthapindiko. Là l'onorevole
Sâriputto si rivolse ai monaci: "Così come tutto ciò che è vivente, che si
muove fornito di piedi, sta all'interno dell'orma dell'elefante, perché la
sua orma è nota per essere la più larga di tutte, così pure tutto il bene
sta nelle quattro sante verità: nelle sante verità del dolore,
dell'origine del dolore, dell'annientamento del dolore e della via che
conduce all'annientamento del dolore.
Ma cos'è la santa verità del dolore? Sono dolore:
nascita, vecchiaia, morte, guai, calamità, sofferenze e pene, strazio e
disperazione; non ottenere ciò che si desidera; in breve: i cinque tronchi
dell'attaccamento sono dolore. I tronchi dell'attaccamento alla forma,
alla sensazione, alla percezione, alla distinzione e alla coscienza. Ma
qual è il tronco dell'attaccamento alla forma? Le quattro materie
principali e ciò che tramite esse esiste come forma: la terra, l'acqua, il
fuoco e l'aria. La terra può essere interna o esterna. Quella interna è
ciò che in noi si presenta solido e duro, come: capelli, peli, unghie,
denti, pelle, carne, tendini, ossa, midolla, reni, cuore, fegato,
diaframma, milza, polmoni, stomaco, intestini, mucose, sterco e così via.
Ma interna o esterna è sempre terra e ognuno deve considerarla, conforme a
verità e con perfetta sapienza, come cosa che non gli appartiene, non è il
suo io, non è se stesso. Riconosciuto ciò, la terra non interessa più, ci
si stacca da essa.
Vi sono tempi in cui le acque esteriori s'innalzano, e
la terra esteriore scompare sotto di quelle. Questa terra esterna, che è
così enorme, mostra d'essere impermanente, soggetta alle leggi della
distruzione, della dissoluzione, della mutazione: e questo corpo, alto
meno d'otto palmi, prodotto dalla sete d'esistenza varrebbe la pena di
considerarlo un 'Io' o un 'Mio' o un 'Essere'?
Se la gente biasima, condanna, perseguita, assale un
monaco, egli pensa: 'In me s'è originata questa sensazione di dolore
provocata da contatto uditivo, ed essa è determinata da contatto'. Ed egli
osserva: 'Tutto è mutevole: il contatto, la sensazione, la percezione, la
distinzione e la coscienza'. Il suo animo, che scompone così gli elementi,
si solleva, si rasserena, diviene saldo e costante.
Se la gente tratta un tal monaco scortesemente,
senz'amore, lo batte rozzamente con pugni, gli tira pietre, lo percuote
con mazze, lo colpisce con spade, allora egli pensa: 'Così è fatto questo
corpo; lo si può battere coi pugni, colpire con pietre, percuotere con
mazze, ferire con spade! Ma la parola del Sublime nel Paragone della Sega
suona: (Se anche, monaci, briganti ed assassini, con una sega da alberi,
vi staccassero articolazioni e membra, chi per ciò si infuriasse non
osserverebbe il mio insegnamento). Ferrea quindi sarà la mia forza,
inflessibile; presente il sapere, irremovibile; calmo il corpo,
impassibile; raccolto l'animo, unificato. Qualunque cosa facciano, sarà
osservato quell'insegnamento degli Svegliati'.
Se a questo monaco che si ricorda così dello Svegliato,
così della Dottrina, così dei Discepoli, manca la nobile costanza
dell'imperturbabilità, allora egli diviene confuso, cade in agitazione;
così come accade alla nuora, incontrando il suocero.
Se invece a questo monaco che si ricorda così dello
Svegliato, così della Dottrina, così dei Discepoli, permane la nobile
costanza dell' imperturbabilità, allora egli è felice, ed ha realizzato
molto. L'acqua può essere interna o esterna. Ciò che specificamente
nell'interno si presenta fluido e liquido, come: bile, muco, pus, sangue,
sudore, linfa, lacrime, siero, saliva, liquido articolare, urina o altre
cose del genere, ciò si chiama acqua interna. E l'acqua interna e quella
esterna sono entrambe la materia acqua. E riconosciuto conforme alla
verità, con perfetta sapienza, che ciò non mi appartiene, ciò non è io,
ciò non è me stesso; si diviene disinteressati all'acqua, ci si distacca
da essa.
Vi sono tempi in cui le acque esterne si gonfiano, in
cui esse travolgono un villaggio, una città una residenza, inondano un
paese, inondano terre e regni. Vi sono tempi in cui le acque del grande
mare sono profonde centinaia, migliaia di miglia. Vi sono tempi in cui
l'acqua del grande mare è alta fino a un solo palmo; vi sono altri tempi
in cui l'acqua del grande mare è profonda dall'altezza di sette uomini
sino a quella di un solo uomo. Vi sono tempi in cui l'acqua del mare
raggiunge l'altezza di mezzo uomo, in cui giunge fino all'anca, al
ginocchio, al malleolo; ve ne sono altri in cui non arriva a coprire la
falange d'un dito. Quest'acqua esterna, che è così enorme, si mostra
impermanente, soggetta alle leggi della distruzione, della dissoluzione,
della mutazione: e di questo corpo, alto meno di otto palmi, prodotto
dalla sete d'esistenza, varrebbe la pena di considerarlo un 'Io' o un
'Mio' o un 'Essere'?
Se ora nel monaco che così si ricorda dello Svegliato,
della Dottrina e dei Discepoli, dura la nobile costanza
dell'imperturbabilità, allora egli è felice, ed ha realizzato molto. Il
fuoco può essere interno o esterno. Il fuoco interno è ciò che nel corpo
si presenta caldo e focoso, come quello per cui si digerisce, ci si
riscalda, per cui il cibo masticato e la bevanda ingerita soggiacciono a
una completa trasformazione, o qualsiasi altra cosa che nell'interno si
presenta calda e focosa. E ciò che vi è di fuoco interno o esterno è la
materia fuoco. E riconosciuto conforme alla verità, con perfetta sapienza,
che ciò non mi appartiene, ciò non è io, ciò non è me stesso; ci
disinteressa del fuoco, ci si distacca da esso.
Vi sono tempi in cui i fuochi esterni infuriano e
distruggono un villaggio, una città, una residenza, divorano un paese,
divorano terre e regni, invadono campi e prati, selve e boschi, campagne
fiorenti, e si estinguono solo quando tutto è bruciato. Vi sono tempi in
cui con una penna, con una piuma bisogna ventilare il fuoco. Questo fuoco,
che può essere così enorme, mostra la sua impermanenza, il suo esser
soggetto alle leggi della distruzione, della dissoluzione, della
mutazione: e di questo corpo, alto meno di otto palmi, prodotto dalla sete
d'esistenza, varrebbe la pena di considerarlo un 'Io' o un 'Mio' o un
'Essere'?
Se ora nel monaco che così si ricorda dello Svegliato,
della Dottrina e dei Discepoli, dura la nobile costanza
dell'imperturbabilità, allora egli è felice, ed ha realizzato molto.
L'aria può essere interna o esterna. Ciò che nell'interno si presenta
volatile ed aereo, come i venti del ventre e dell'intestino, i venti della
inspirazione e dell'espirazione, o qualsiasi altra cosa che si presenta
volatile ed aerea è materia aria. E ciò è vi è di aria interna ed esterna
è l'elemento aria. E riconosciuto conforme alla verità, con perfetta
sapienza, che ciò non mi appartiene, ciò non è io, ciò non è me stesso; ci
si disinteressa dell'aria, ci si distacca da essa.
Vi sono tempi in cui l'aria esterna infuria e abbatte
un villaggio, una città, una residenza, devasta un paese, devasta terre e
regni. Vi sono tempi, come nell'ultimo mese dell'estate, in cui bisogna
farsi vento con una foglia di palma, con un ventaglio; tempi in cui anche
sull'acqua non si muove uno stelo. Quest'aria, che può essere così enorme,
mostra la sua impermanenza, il suo esser soggetta alle leggi della
distruzione, della dissoluzione, della mutazione: e di questo corpo, alto
meno di otto palmi, prodotto dalla sete d'esistenza, varrebbe la pena di
considerarlo un 'Io' o un 'Mio' o un 'Essere'?
Se la gente biasima, condanna, perseguita, assale un
monaco, egli pensa: 'In me s'è originata questa sensazione di dolore
provocata da contatto uditivo, ed essa è determinata da contatto'. Ed egli
osserva: 'Tutto è mutevole: il contatto, la sensazione, la percezione, la
distinzione e la coscienza'. Il suo animo, che scompone così gli elementi,
si solleva, si rasserena, diviene saldo e costante.
Se la gente tratta un tal monaco scortesemente,
senz'amore, rozzamente lo batte con pugni, gli tira pietre, lo percuote
con mazze, lo colpisce con spade, allora egli pensa: 'Così è fatto questo
corpo; lo si può battere coi pugni, colpire con pietre, percuotere con
mazze, ferire con spade! Ma la parola del Sublime nel Paragone della Sega
suona: (Se anche, monaci, briganti ed assassini, con una sega da alberi,
vi staccassero articolazioni e membra, chi per ciò si infuriasse non
osserverebbe il mio insegnamento).
Ferrea quindi sarà la mia forza, inflessibile; presente
il sapere, irremovibile; calmo il corpo, impassibile; raccolto l'animo,
unificato. Qualunque cosa facciano, sarà osservato quell'insegnamento
degli Svegliati'. Se a questo monaco che si ricorda così dello Svegliato,
così della Dottrina, così dei Discepoli, manca la nobile costanza
dell'imperturbabilità, allora egli diviene confuso; così come accade alla
nuora, incontrando il suocero.
Se ora nel monaco che così si ricorda dello Svegliato,
della Dottrina e dei Discepoli, dura la nobile costanza
dell'imperturbabilità, allora egli è felice, ed ha realizzato molto."
"Così come per mezzo di travi e giunchi, di paglia e
creta viene a costituirsi uno spazio limitato, ossia 'la casa'; così pure
per mezzo di ossa e tendini, di carne e pelle viene a costituirsi uno
spazio limitato, ossia 'la forma'.
Se la vista interna non è distratta, e le forme esterne
non entrano nel campo visivo, allora non si verifica il corrispondente
contatto reciproco, e non si viene a formare alcuna formazione nel
corrispondente campo di coscienza.
Se la vista interna non è distratta, e le forme esterne
potrebbero entrare nel campo visivo (ma non lo fanno), non si verifica il
corrispondente contatto reciproco, e non si viene a formare alcuna
formazione nel corrispondente campo di coscienza.
Ma se la vista interna non è distratta, e le forme
esterne entrano nel campo visivo, e ha luogo una corrispondente contatto
reciproco, allora si viene così alla formazione del corrispondente campo
di coscienza. Ogni forma, pertinente a ciò che così si è formato, si
dispone nel tronco dell'attaccamento alla forma; ogni sensazione si
dispone nel tronco dell'attaccamento alla sensazione e lo stesso accade a
ogni percezione, a ogni distinzione, a ogni coscienza. Si comprende
adesso: 'Questa è dunque la disposizione, la riunione, la combinazione di
questi cinque tronchi dell'attaccamento!' E la parola del Sublime suona:
'Chi vede l'origine da cause, vede la verità: chi vede la verità, vede
l'origine da cause'. Da cause sono essi perciò originati, questi cinque
tronchi dell'attaccamento! La volontà, il piacere, l'affermazione
(anunayo), la soddisfazione in questi cinque tronchi dell'attaccamento:
questa è l'origine del dolore. Il rinnegamento (vinayo) della brama del
volere, il suo annullamento in questi cinque tronchi dell'attaccamento:
questo è l'annientamento del dolore. E pertanto, fratelli, un monaco ha
fatto molto.
Se l'udito interno non è distratto,
Se l'olfatto interno non è distratto,
Se il gusto interno non è distratto,
Se il tatto interno non è distratto,
Se il pensiero interno non è distratto, e le cose
esterne non entrano nel campo del pensiero, allora non ha nemmeno luogo la
corrispondente combinazione reciproca, e non si perviene ad alcuna
formazione del corrispondente campo di coscienza.
Se il pensiero interno non è distratto, e le cose
esterne entrano nel campo del pensiero, e non ha luogo alcuna reciproca
combinazione, allora neppure si perviene ad alcuna formazione del
corrispondente campo di coscienza.
Ma se il pensiero interno non è distratto, e le cose
esterne entrano nel campo del pensiero, e ha luogo una corrispondente
reciproca combinazione, allora si viene alla formazione del corrispondente
campo di coscienza. Ogni forma, pertinente a ciò che si è così formato, si
dispone nel tronco dell'attaccamento alla forma, ogni sensazione si
dispone nel tronco dell'attaccamento alla sensazione e lo stesso accade a
ogni percezione, a ogni distinzione, a ogni coscienza. Si comprende
adesso: 'Questa è dunque la disposizione, la riunione, la combinazione di
questi cinque tronchi dell'attaccamento!' E la parola del Sublime suona:
'Chi vede l'origine da cause, vede la verità: chi vede la verità, vede
l'origine da cause'. Da cause sono essi perciò originati, questi cinque
tronchi dell'attaccamento! La volontà, il piacere, l'affermazione, la
soddisfazione in questi cinque tronchi dell'attaccamento: questa è
l'origine del dolore. Il rinnegamento della brama del volere,
l'annullamento della brama del volere in questi cinque tronchi
dell'attaccamento: questo è l'annientamento del dolore. E pertanto,
fratelli, un monaco ha fatto molto'."
Così parlò l'onorevole Sâriputto. Contenti i monaci si
rallegrarono della sua parola.
Mahâsaropama Sutta
Il paragone del legno
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Râjagaham,
sull'alpe del Picco dell'Avvoltoio, poco dopo che Devadatto s'era staccato
dall'Ordine. Là egli si rivolse ai monaci pensando a Devadatto:
"Ecco un nobile figlio che ha lasciato la casa per
l'eremo pensando: 'Sono precipitato nella nascita, nella vecchiaia e nella
morte; in guai, sofferenze e pene; nello strazio e nella disperazione;
immerso e perduto nel dolore! Oh, se potessi mettere fine a tutto questo
tronco di dolore!'. Con tale intenzione egli ha rinunciato al mondo ed
ottiene elemosina onore e gloria. Tutto ciò lo allieta ed egli cambia.
Finisce col diventare altero e disprezza il suo prossimo: 'Io sono amato e
glorificato, questi altri monaci però sono ignoti e insignificanti'. Egli
s'inebria, diviene negligente, leggero; e chi è leggero è toccato dal
dolore.
Così come se un uomo che vuole legno, cerca legno,
uscisse, s'arrampicasse su un grande albero vi salisse sopra, staccasse un
ramoscello con foglie e si allontanasse pensando: 'Questo è legno': un
uomo di buona vista che lo avesse osservato penserebbe: 'Questo caro uomo
non conosce né il legno duro, né quello tenero; non conosce la corteccia,
né i rami. né il fogliame. Si è arrampicato sino ai rami, ha staccato un
ramoscello con foglie, e se lo è portato via convinto che fosse legno; ma
ciò che di legno può ricavarne, non gli servirà a nulla'. Proprio così un
uomo che ha lasciato la casa per l'eremo con la giusta motivazione, ma,
pur avendo ottenuto i giusti riconoscimenti, si lascia fuorviare da essi,
diventa altero, disprezza chi gli sta intorno, diviene negligente e
leggero; è, monaci, un monaco che ha preso per sé le foglie dell'ascetismo
e ne è appagato.
Ma ecco un uomo che, spinto dalle giuste motivazioni,
rinuncia al mondo e lascia la casa per l'eremo. Ottiene i giusti
riconoscimenti ma questi non lo allietano, non lo cambiano. Non diviene
altero, non disprezza il suo prossimo; non s'inebria, non diviene
negligente né leggero e, lottando con seri intendimenti, conquista le
virtù dell'Ordine. Ma queste virtù lo mutano, lo rendono altero, gli fanno
disprezzare il suo prossimo: 'Io sono virtuoso, sono giusto, però questi
altri monaci non lo sono, sono cattivi'. Le virtù lo inebriano, lo rendono
negligente, leggero; e chi è leggero è toccato dal dolore.
Così come se un uomo che cerca legno s'arrampicasse
sopra un grande albero, ne staccasse un ramo e se ne andasse pensando:
'Questo è legno': un uomo di buona vista che avesse osservato tutto
penserebbe che costui non conosce niente delle parti dell'albero, e che
quel poco legno che può ricavare dal ramo non gli servirà a nulla. Allo
stesso modo un nobile figlio che con giuste motivazioni avesse lasciato la
casa per l'eremo, avesse ottenuto i giusti riconoscimenti e non diventasse
altero e sprezzante del suo prossimo, non s'inebrierebbe, non diverrebbe
negligente né leggero e conquisterebbe le virtù dell'Ordine. Per queste
virtù egli si allieta e cambia, diventa altero e sprezzante: 'Io sono
virtuoso, sono giusto, gli altri monaci non sono virtuoso, sono cattivi'.
Le virtù lo inebriano, lo rendono negligente, leggero; e chi è leggero è
toccato dal dolore. Costui è un monaco che si accontenta di un solo ramo
dell'ascetismo.
Ecco un altro nobile figlio che lascia la casa per
l'eremo e vive le stesse esperienze degli altri. Conquista le virtù
dell'Ordine e non si lascia inebriare da esse. Non diventa negligente né
leggero, e, lottando con seri intendimenti, conquista la grazia del
raccoglimento. Ma ancora una volta questa grazia del raccoglimento lo
altera; diventa superbo e disprezza gli altri monaci: 'Io sono raccolto,
di animo unificato, gli altri monaci non sono raccolti, hanno l'animo
distratto'. Il raccoglimento lo inebria, lo rende negligente e leggero, e
il leggero è toccato dal dolore.
Così come se un uomo che cerca legno si arrampicasse su
un grande albero e ne prendesse solo la corteccia, convinto d'aver preso
del legno; uno di buona vista che lo osserva lo giudicherebbe un
incompetente: allo stesso modo si comporterebbe un nobile figlio che,
divenuto monaco e raggiunto il raccoglimento, disprezzasse gli altri
monaci per non esserci riusciti. Costui è un monaco che si accontenta
della sola corteccia dell'ascetismo. Un altro nobile figlio che, divenuto
monaco, vive tutte le esperienze che abbiamo visto, raggiunge la grazia
del raccoglimento, non se ne inebria; lottando seriamente conquista la
chiarezza del sapere. Se ne allieta, cambia, e pensa: 'Io sono chiaro
sciente, gli altri monaci sono ignoranti'. La chiarezza del sapere lo
inebria, diviene negligente e leggero; e il leggero è toccato dal dolore.
Così come se un uomo che cerca legno, arrampicatosi su
un grande albero, si accontentasse di legno tenero, e fosse convinto
d'avere preso autentico legno; un competente che l'avesse osservato,
saprebbe che si è accontentato di legno inadatto. Altrettanto un nobile
figlio, divenuto monaco e raggiunta la chiara scienza, inebriato da ciò
diverrebbe negligente e leggero; e il leggero è toccato dal dolore. Costui
è un monaco che è appagato dal legno tenero dell'ascetismo. Un altro
nobile figlio, divenuto monaco, ha raggiunto la chiaroveggenza e, lottando
seriamente, ha conquistato una imperdibile temporanea redenzione . Così
come se un uomo che cerca legno, segasse proprio il tronco di legno duro
d'un grande albero, lo prendesse e lo portasse via, certo d'aver preso
buon legno duro: un uomo competente di buona vista che l'avesse osservato,
approverebbe il suo operato.
Così un nobile figlio che ha lasciato la casa per
l'eremo pensando: 'Sono precipitato nella nascita, nella vecchiaia e nella
morte; in guai, sofferenze e pene; nello strazio e nella disperazione;
immerso e perduto nel dolore! Oh, se potessi mettere fine a tutto questo
tronco di dolore!'. Con tale intenzione egli ha rinunciato al mondo ed
ottiene elemosina onore e gloria. Tutto ciò lo allieta ma non lo cambia.
Non diviene altero per le virtù dell'Ordine acquisite, non diventa
negligente, non leggero e, lottando con seri intendimenti, egli conquista
la grazia del raccoglimento. Se ne rallegra, ma non cambia. Lottando
ancora conquista la chiarezza del sapere. Se ne rallegra, ma non cambia.
Lottando ancora con seri intendimenti conquista l'eterna redenzione che
non è cosa che si possa perdere.
E così il frutto dell'ascetismo, non è elemosina, onore
e gloria, non virtù dell'Ordine, non grazia del raccoglimento, non
chiarezza del sapere. Ma quella imperturbabile redenzione dell'animo, ciò
è lo scopo: questo, monaci, è l'ascetismo, questo ne è il nocciolo, questo
il fine."
Così parlò il Sublime. Contenti si rallegrarono i
monaci della sua parola.
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